Per una teologia della nonviolenza
Né consueta e tantomeno scontata l’esortazione di Papa Francesco nell’Angelus di ieri a favore della pace in Siria e per “le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra”. C’è l’esclusione radicale dell’uso della forza e del ricorso alla violenza e alla guerra. C’è l’indicazione chiara e inequivocabile a percorrere piuttosto le vie del dialogo, del negoziato e dell’incontro. C’è il valore dato alla forza della preghiera e del digiuno. L’unica citazione riportata è dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII. Pur senza un riferimento esplicito, la nonviolenza trova in quelle parole un fondamento saldo nella teologia e nella ragione umana. E chissà che la profonda spiritualità e la viva intelligenza di Francesco Papa non giungerà a riprendere i fili dell’ultima riflessione organica sul tema della pace, la Pacem in terris appunto, per spingere più avanti la comunità cristiana sul tema evangelico della pace nonviolenta. D’altra parte, il santo di cui ha preso il nome, nel 1219 si recò, in pieno clima di guerra e crociate, dal sultano Mâlik al-Kâmil e, secondo i racconti, fu accolto benevolmente. “Ripeto a voce alta: - ha concluso il Pontefice - non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace”.