Shock economy

10 settembre 2013 - Tonio Dell'Olio

È un fenomeno analizzato da Naomi Klein in una pubblicazione del 2007 in cui si spiega come un sistema economico riesce a trarre vantaggio da eventi tragici, calamità naturali, guerre, crisi (economiche, ecologiche...). Sono quelli che ridono al telefono a pochi minuti dal terremoto de L’Aquila per intenderci. L’industria della paura rende e rende bene. Sciacalli. A tal punto che, quando non c’è alcun evento naturale, a qualcuno viene in mente di crearlo artificiosamente. Si spiegano così ad esempio le guerre preannunciate con ragioni più o meno fondate, le cicliche emergenze umanitarie, le forme di assistenza prolungate nel tempo. Anche i profughi in Italia non vengono visti tanto come persone in carne e ossa che fuggono da situazioni drammatiche e cercano aiuto, quanto piuttosto come mucche da mungere. C’è un giro di affari indescrivibile sulle spalle della gestione dei profughi che ciclicamente arrivano in Italia da Eritrea, Somalia, Siria, Egitto... Si tratta di gente che in Italia non ci vuole stare e preferirebbe raggiungere la Germania o la Svezia dove viene riservato loro un ben diverso (migliore) trattamento oppure vorrebbe quanto prima ritornare a casa non appena la guerra è finita. E invece ci sono alberghi e altri luoghi convenzionati che ricevono lucrose diarie e non hanno alcun interesse a trasferire o a lasciar partire gli stranieri. “Fabbriche della disperazione” dice Antonello Mangano che studia il fenomeno. Agli ospiti si offre un pocket money che dovranno spendere nei CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo) o nei dintorni, ci sono aziende e organizzazioni cui si appaltano servizi, avvocati e faccendieri per gestire le pratiche... Iter lunghissimi che non servono agli stranieri quanto a nutrire gli italiani.

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