Un sabato mattina in una piazza di Milano
Molto più che le parole hanno parlato molto chiaramente i gesti. Durante il funerale di Lea Garofalo sabato scorso a Milano ci sono stati segni profondi che hanno segnato l'anima. In quella piazza si è toccato con mano che anche i segni di morte possono diventare semi di vita nuova. La voce di Denise, la figlia di questa "testimone di verità" che riconosce e raccoglie in sé tutto l'amore di una madre che le ha voluto bene anche andando incontro a quella fine atroce. Quel mazzo di fiori inviato lì da Carmine Venturino, il giovane che si era finto fidanzato di Denise su ordine del padre per poterne controllare i movimenti e le decisioni. Il giovane che ha ammesso di aver partecipato materialmente alla brutale uccisione di Lea e che - pentitosi - ha raccontato anche i particolari più raccapriccianti delle torture inflitte alla donna e della sua eliminazione. Quel feretro portato sulle spalle da un gruppo di ragazze che oggi sono impegnate a stringere una rete di amicizia attorno ad un'altra ragazza che per amore della verità e per seguire l'esempio della madre, non esita a porsi dalla parte della verità. Il sindaco di Milano che non solo sceglie di dedicare a Lea Garofalo un giardino ma sfida ogni nobile tradizione meneghina decidendo di seppellire Lea nel luogo delle persone che hanno dato lustro alla città nel corso dei secoli. Il sottofondo delle canzoni amate da Lea, la presenza di persone giunte in Piazza Beccaria da tante parti d'Italia e, soprattutto dalla Calabria. Segni di un Paese che vuole voltare pagina. A caro prezzo. Ma vuole voltare pagina.