Il sesto continente
Domenica prossima in tutte le chiese cattoliche del mondo sarà celebrata la centesima giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Centesima. Segno che non può essere emergenziale l'attenzione per coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra. Che a buon ragione quello dei migranti deve essere considerato ormai il sesto continente. E che lo sguardo va oltre Lampedusa e si sposta ai mille confini del mondo in cui tanta povera gente gioca a dadi col proprio destino. Per cercare una vita dignitosa per sė e per la propria famiglia. Segno che le migrazioni dei popoli cambiano lingua e rotte, modalità e origine, ma sono endemiche. Ce ne dobbiamo fare una ragione. Al contrario la stragrande maggioranza dei soldi del capitolo immigrazione nel nostro Paese vengono destinati per la gestione dei CIE e per i respingimenti. Briciole, solo briciole, per scuola e servizi sanitari che sono i luoghi in cui si costruisce sicurezza sociale. Una politica miope che non riesce nemmeno ad affrontare il tema in senso planetario, ovvero con accordi internazionali e politiche di cooperazione. E intanto il carico delle vittime si fa insostenibile per le nostre coscienze da Prato a Lampedusa, ma anche dai confini messicani a quelli asiatici. Mi dice padre Giovani La Manna: "Per strappare all'anonimato i morti della notte del 3 ottobre a Lampedusa ho deciso di celebrare ogni giorno una messa per ciascuno di loro e mi sono accorto che sono 368 i morti ufficiali. Non mi basteranno tutti i giorni dell'anno".