In margine all'Assemblea Ecumenica di Busan
Si è celebrata in novembre a Busan, in Corea, la decima assemblea - la prima, di fondazione, risale al 1948 - del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Il messaggio conclusivo delle 345 chiese cristiane presenti constata la necessità di "cambiamento dei cuori" in società dilaniate da conflitti e divisioni: la Corea "non è l’unico paese in cui i popoli sono divisi, nella povertà e nella ricchezza, nella felicità e nella violenza, nel benessere e nella guerra. Non ci è consentito chiudere gli occhi di fronte a queste dure realtà o esimerci dal collaborare all’opera trasformatrice di Dio.... Viviamo in un tempo di crisi globale. Dobbiamo affrontare sfide economiche, ecologiche, socio-politiche e spirituali. Nell’oscurità e nell’ombra della morte, nella sofferenza e nella persecuzione, quanto è prezioso il dono di speranza del Signore Risorto! Con la fiamma dello Spirito nei nostri cuori, preghiamo Cristo di illuminare il mondo: che la sua luce orienti l’intera nostra vita verso la cura dell’intera creazione ed affermi che tutte le persone sono create ad immagine di Dio. Ascoltando le voci che spesso ci giungono dagli emarginati, proponiamoci di condividere gli insegnamenti di speranza e di perseveranza. Impegniamoci nuovamente ad operare per la liberazione e ad agire in modo solidale. Possa la Parola di Dio illuminarci e guidarci nel nostro cammino.... Dio della vita , guidaci alla giustizia e alla pace! ".
Le citazioni riflettono la debolezza dell'intero messaggio, sintesi delle difficoltà dei lavori dell'assemblea, che si è incentrata, oltre che sui conflitti - in particolare del Congo, del Sudan e sull'aids - su cui non è difficile trovare un'intesa condivisa, su questioni che dividono (e mortificano) le chiese come i ministeri femminili e l'omosessualità, che ancora intrigano anche il pur coraggioso anglicanesimo. Ma il "segno" più eclatante per indicare l'arretratezza del dibattito in corso è la mancata condivisione dell'eucaristia. E l'inconsistenza del dibattito teologico. Non è il caso di ricordare che internet conta oltre 30.000 credenze religiose nel mondo, anche se sembra assurdo restare divisi tra credenti che confessano lo stesso Gesù Cristo e lo stesso battesimo; mentre sarebbe urgente colmare l'abisso che divide la fede in Dio in culti e fedi diverse nei confronti delle quali converrebbe usare non più solo interesse, rispetto e tolleranza, ma allentamento dei presupposti dogmatici di verità che rendono le religioni fortezze da difendere.
Oggi tutte le religioni sono al palo: le tradizioni sopravvivono diventando razionalmente illeggibili: in non pochi casi si consolidano in credenze più o meno superstiziose e rappresentano convenzioni non più realmente sentite ma pur sempre consolatorie oppure pericolosamente inclini alla radicalizzazione. L'urto della modernità, la complessità sociale, la percezione globalizzata del mondo, la crescita dell'istruzione pongono domande a cui le teologie non sono preparate a rispondere. Un test è lo stesso documento finale di Busan: non basta esecrare guerre e armamenti o essere "insieme per la vita", se ciascuna chiesa non parte dal riconoscimento della propria mancanza di certezze su che cosa mai siano la vita e la morte e sulla necessità di potenziare rinnovandolo il bisogno simbolico che ci caratterizza tutti. Gli stessi riti vanno risignificati e per questo, per i cattolici, uno dei mancati adempimenti del Concilio Vaticano II è proprio la mancata riforma liturgica. Chi non adempie il precetto della messa domenicale non ha abbandonato la fede: semplicemente non la trova lì. E così chi vi assiste e riceve l'eucaristia imboccato come i neonati non riceve senso per vivere coerentemente una settimana. Non siamo più gli stessi della messa tridentina. Gesù non ha inventato la messa: ha solo chiesto di fare memoria. Non sono più gli stessi nemmeno gli sprovveduti: nei paesi occidentali tutti hanno almeno la licenza media se non la laurea, mentre nei paesi del non-sviluppo (?) girano i cellulari e si digita.
Allora a quanti credono nell'ecumenismo si prospetta un nuovo livello di ricerca. Intanto la parola resta ostica anche per i non analfabeti. In secondo luogo forse si dovrebbe riandare all'origine della parola: la traduzione letterale riconduce all'universale, al globale, alla mondialità. Inventata in area cristiana allude alla dimensione universalizzata del Cristianesimo, in qualche modo ad una visione che, anche se non di conversione e dominio, resta poco plurale. E' ben noto che il termine fa semplice riferimento ad una difficile fratellanza/unione tra chiese cristiane; ma proprio l'incapacità a rafforzare l'unità nella differenza può trovare una composizione nella visione di un orizzonte più ampio (che oggi è il solo orizzonte a cui guardare) che si apra a tutte le fedi. Ognuno conosce Dio nella propria lingua e gli dà nomi diversi e solo l'ignoranza fa dire che l'islamico crede in Allah e non nel "nostro" Dio. Perfino il politeismo distingue le forze di un divino intuitivamente unico. Come costruire la pace o anche solo contribuire al suo realizzarsi, se non impostiamo le relazioni di fede sul rispetto della libertà religiosa?