Lettera aperta alle comunità cristiane, alla società civile organizzata e alle Istituzioni per una

Via Crucis dal C.A.R.A. al C.I.E. di Bari

SABATO 5 APRILE DALLE 16.30 ALLE 19
3 aprile 2014 - Rete cittadina per la Giustizia e la Pace

“Ero uno straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, infermo e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti da me” (Mt 25,35)

 

Vogliamo vivere un momento di forte riflessione sui drammi dell’immigrazione, per non rimanere in silenzio su questo luogo di grande mortificazione della dignità dei migranti che non hanno commesso alcun reato ma sono soltanto considerati potenzialmente pericolosi fino ad essere sottoposti per 18 mesi a detenzione amministrativa (equiparabile a pura reclusione violenta).

La detenzione delle persone entrate in Italia senza visto di ingresso è un atto che va contro la nostra Costituzione, la quale garantisce il rispetto dei diritti fondamentali delle persone (art. 2), non ammette forma alcuna di detenzione, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, nonché punisce ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà (art. 13).

Secondo la nostra Costituzione perfino le pene comminate dall’autorità giudiziaria per l’accertata commissione di reati (e gli immigrati irregolari non rientrano in tale ipotesi) non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27).

L’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la politica di respingimento degli immigrati verso i campi di concentramento libici ed il Rapporto del Parlamento italiano sullo stato dei diritti umani nelle carceri e nei CIE (che sono peggio delle carceri) ha parlato di “trattamenti inumani e degradanti”.

L’Ong “Medici per i Diritti Umani” (Medu), membro della campagna italiana “LasciateCI Entrare”, dopo un monitoraggio nazionale nei 13 centri sparsi per la Penisola, ha evidenziato come il diritto alla salute non sia garantito in quelle strutture, al pari del diritto alla comunicazione con l’esterno e all’informazione sulla durata della propria detenzione: i casi di autolesionismo, depressione e altre gravi patologie psico-fisiche sono assai numerosi.

E’ nostra responsabilità essere a fianco dei migranti perché le loro voci parlano anche a noi europei, al nuovo Impero di Occidente.

Noi credenti vogliamo continuare ad essere testimoni della speranza.

Sentiamo forte il bisogno di pregare sui crocifissi che sono ancora in questo CIE come negli altri luoghi in cui sono rinchiusi i migranti.

Vogliamo riproporre a noi stessi il coinvolgimento fedele e coerente nel cammino di liberazione da queste ingiustizie e da queste violenze.

Vogliamo ritrovare nell’Uomo Crocifisso la speranza, il coraggio e la forza della perseveranza.

Ricordiamo in proposito il documento del Sinodo dei Vescovi del 1971 promosso da Paolo VI:

L’incertezza della storia e le stesse convergenze, che pur faticosamente sorgono lungo il cammino ascensionale della comunità umana, ci portano a rivolgerci alla storia sacra, nella quale Dio si è a noi rivelato, manifestandoci il suo disegno di liberazione e di salvezza nella sua progressiva attuazione e, una volta per sempre, compiutosi nella Pasqua del Cristo. L’agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo”.

Ciascuno parteciperà con la propria sensibilità, con le parole e i gesti che avvertirà possibili.

 

Bari, 27 marzo 2014

 

Documento elaborato dalla Rete cittadina per la Giustizia e la Pace.

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