Troppe parole sui rifugiati
A nessuno sfugga che oggi si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato. Ma a nessuno sia permesso di trasudare retorica. Le parole cui non seguono i fatti offendono le vittime. Donne, uomini e bambini costretti ad affrontare viaggi disperati semplicemente per mettersi in salvo. Dalla guerra o da una dittatura. Dalle minacce o dalla tortura. Ciascuno dei racconti dei rifugiati è una via crucis che gronda dolore. Per queste persone si dovrebbero predisporre sempre corridoi umanitari, facilitare i passaggi, aprire le porte. E invece, anche alcuni di quelli che oggi impegnano parole solenni sul tema, hanno contribuito a costringere quelle persone alla clandestinità, ai barconi della disperazione, alla morte in mare o nel deserto. Come nel caso dell’immigrazione, anche qui dovremmo ricordare “quando i rifugiati eravamo noi” e ci chiamavamo Giuseppe Garibaldi, Enrico Fermi, Carlo e Nello Rosselli, i tanti ebrei che scappavano dalle leggi razziali… Una Giornata – allora – contro l’ipocrisia delle celebrazioni offensive e per il riconoscimento pieno all’accoglienza di chi rivendica semplicemente il sacro diritto di vivere.