Neorealismo
Roy Andersson è il regista svedese che con il suo “A Pigeon sat on a Branch refletting on Existence” ha vinto il Leone d'oro della 71ma edizione del Festival del Cinema di Venezia. Più che il suo film, che non ho visto, mi colpisce il discorso che ha pronunciato ritirando il premio: “L’Italia ha dato tanti maestri che mi hanno ispirato. Soprattutto il De Sica di “Ladri di biciclette” - segue il racconto dettagliato del film e la trama e poi conclude dicendo - Il suo cinema è empatico, come deve essere, così io continuerò seguendo l’esempio di De Sica". Mi chiedo allora se quel neorealismo che ha reso celebre il cinema italiano (e l'Italia) non dovrebbe continuare ad essere il genere che non solo ispira i cineasti nostrani, ma che diventa anche un importante strumento di riflessione e di formazione per tutti. Lo ritrovo in un film girato in forma di documentario dal titolo affascinante: "Le cose belle", di due registi, Agostino Ferrente e Giovanni Piperno, che nel 1999 avevano realizzato un documentario per la Rai sulla vita dei bambini nei quartieri di Napoli e che 12 anni dopo sono andati a riannodare quelle storie per raccontarne l'evoluzione. Ne emerge un grido italiano. Uno specchio neorealista che è un libro di vita aperto in faccia a tutti e, soprattutto, per quelli che governano questo Paese. Un cinema che lascia parlare le strade e la vita reale, che scopre i propri attori nei condomini quotidiani e ritrova il coraggio di raccontarne le storie senza infingimenti e senza trucchi. Un cinema che scopre film dalla sceneggiatura già scritta, ma mai ripresi e proiettati nelle sale. Un cinema talvolta amaro, ma in grado di sorprenderci rubando l'anima delle vite che viviamo e riconsegnandocele con la veste dell'arte.