Lo spirito di Assisi
Sono stupito di chi si stupisce. Che ci sia chi, usando il nome di Dio, semina morte, distruzione e sofferenza, non è scoperta recente. Tra le intuizioni più feconde del pontificato di Giovanni Paolo II vi è lo “spirito di Assisi” (27 ottobre 1986). Ovvero la volontà di raccogliere le fedi attorno all’impegno per la pace. Ovvero l’invito rivolto a ciascuna comunità religiosa a considerare la violenza un corpo estraneo al proprio credo. Accanto ad ogni altra scelta di integrazione, dialogo, incontro, cooperazione… va perseguita con tenacia la strada dell’unità delle fedi a servizio della pace. Giusta e nonviolenta. Isolare il fanatismo significa tagliare l’erba sotto i piedi dei fanatici che usano il nome di Dio come una clava, Bibbia o Corano come un manuale di istruzione per il proselitismo, i luoghi di culto come una palestra in cui esercitarsi alla guerra. Convertire le fedi alla pace è un impegno gravoso ma essenziale per togliere ogni parvenza di legittimazione alla guerra di espansione di un califfato farneticante, alla predicazione di un Dio assetato di sangue, all’azione omicida di chi pensa che Dio riveli la propria grandezza (Allah akbar) quando infligge la morte e non quando dona la vita. La parte d’Europa che oggi si scopre offesa e minacciata dal terrorismo di matrice islamica, forse era distratta mentre in Nigeria, Pakistan, Siria, Iraq… si compivano stragi all’ombra dello stesso grido ascoltato in Rue Nicolas Appert. Quella parte d’Europa oggi ha imparato che ha un significato più profondo, più credibile e più efficace lo slogan “Je suis Charli” se contemporaneamente riusciamo a gridare con altrettanta forza “I am Nigerian” di fronte ai duemila morti anonimi dei villaggi nigeriani.