Il nemico dentro
Correva la data del primo maggio duemilatre e la statua del dittatore iracheno si piegava all’ingresso delle truppe alleate in una Baghdad ormai allo stremo. Colpire le effigi del potere, annientare il simbolo dell’Impero del Male, creare nell’inconscio collettivo un’immagine con cui rimuovere il terrore globalizzato dell’ 11 settembre: “Attraverso le immagini delle statue che venivano abbattute, abbiamo assistito all'avvento di una nuova era”1. Suggestioni di futuro per un popolo smarrito, per una nazione che ricercava la propria identità nella polvere alzata dal frantumarsi dei cocci bronzei di Saddam. Frammenti di paura ricomposti nell’apologia delle Forze Armate, così celebrate dalle parole del presidente: “Tutti voi, in questa generazione di militari, avete accettato la più grande responsabilità della storia” 1.
Il mito della forza e il consenso di un popolo, eppure passano solo pochi mesi dalla fine dei combattimenti e qualcosa comincia a scricchiolare. Il tredici ottobre duemilatre il quotidiano Usa Today batte un titolo: “Esercito indaga suicidio soldati Iraq” 2. Secondo tale fonte negli ultimi mesi almeno undici fanti e tre marines si sarebbero tolti la vita con armi da fuoco ma il totale dei casi sospetti dovrebbe raggiungere complessivamente le due decine. È proprio il suicidio degli eroi e la caduta degli dei il punto di vista da cui interrogarci per cercare significati più umani al nostro essere operatori di pace.
I numeri
Nel corso delle ultime vicende irachene il mondo dei “pacifisti” poco si è occupato della qualità della vita - intesa anche come salute psicologica e mentale - degli uomini al fronte, di cui l’evento suicidario si pone come termometro altamente indicativo. Il tasso di suicidi negli ultimi sette mesi in Iraq sarebbe del 17 per 100.000, superiore al valore di 13 per 100.000 registrato in passato nell’esercito e nella popolazione generale, ma per ora non è possibile azzardare conclusioni generali. Ciononostante lo stesso Pentagono, tramite la portavoce M. Rudd, si è dichiarato estremamente preoccupato ed ha subito potenziato il Programma di Prevenzione dei Suicidi (per il quale nel 2002 erano stati spesi almeno un milione di dollari). 478 Militari sono stati rimpatriati dall’Iraq per disturbi mentali, mentre un team di esperti (psichiatri, psicologi, educatori) è stato subito inviato sul campo per valutare le condizioni di 700 militari e per redigere un rapporto sulla situazione, nell’intento dichiarato di raggiungere per il prossimo futuro quota “zero” suicidi 2.
In tale contesto l’elemento più inquietante risiederebbe nel fatto che la maggior parte degli episodi di suicidio si sono verificati proprio dopo il primo maggio, ovvero dopo quel giorno in cui Gorge Bush atterrò sulla portaerei A. Lincoln mascherato da pilota per annunciare la grande vittoria. Lo stesso giorno inizia lo stillicidio quotidiano delle morti tra i soldati occupanti e così il nemico appena sconfitto si rende invisibile nel popolo non proprio festante. La delusione per una guerra celebrata in pompa magna, il prolungarsi della lontananza da casa e la scomparsa di un avversario ben visibile verso cui dirigere la propria aggressività configurano un nuovo terrore senza volto. Un terrore indecifrabile, interno, che tormenta l’intimità degli uomini al fronte. Il nemico adesso era dentro di loro e per eliminarlo potevano solo uccidersi.
Le cause
La letteratura medica che si occupa di catastrofi, emergenze e problemi socio-assistenziali nei campi profughi infatti evidenzia come l’esperienza del trauma e della perdita possano avere effetti profondi sulle persone che hanno vissuto una situazione di guerra. Il trauma, rappresentato anche dalla morte improvvisa di una persona cara, da un stupro o da un’aggressione violenta, si configura come una brusca interruzione della continuità dell’esperienza, una sorta di lacerazione psichica. Già nel 1976 Horowitz identificò le tematiche psicologiche comuni che conseguono ad un grave trauma: dolore o tristezza, colpa per i proprio impulsi di rabbia o distruttivi, paura di diventare distruttivi, sentimenti di colpa per essere sopravvissuti, paura di identificarsi con le vittime, vergogna rispetto ad un sentimento di impotenza e di vuoto, paura di ripetere il trauma, intensa rabbia diretta verso la fonte del trauma. Da un punto di vista più clinico invece, oggi si parla di “Post Traumatic Stress Disorder (PTSD)”, successore di formulazioni come “la sindrome dei campi di concentramento”, la “sindrome dei sopravvissuti”, la “nevrosi da guerra”. I sintomi comprendono ansia, flashbacks, disturbi dissociativi (distacco e amnesia rispetto all’evento traumatico) che permettono a chi ha subito un trauma di compartimentalizzare l’esperienza in modo da non renderla più accessibile alla coscienza –come se il trauma non si fosse mai verificato-. Uno studio recente effettuato su 30.000 veterani della prima guerra del Golfo ha evidenziato un tasso di PTSD significativamente più alto rispetto a personale non schierato nel Golfo e quindi non esposto agli stessi stimoli stressanti 3. Ciononostante la relazione tra esperienza traumatica e PTSD non è così lineare e si ritiene condizionata a diversi fattori di rischio personali.
La pillola del diavolo
Si chiama “Propanolol” e secondo recenti ricerche condotte negli Stai Uniti e in Francia potrebbe aiutare chi è costretto a convivere ogni giorno con paure e terrori da shock postraumatico4. La comunità scientifica è divisa per le implicazioni etiche e per le preoccupazioni sull’uso militare di un farmaco che potrebbe “normalizzare” anche i vissuti più insopportabili. Uno dei membri dell’Enola Gay (l’aereo che bombardò Hiroshima) arrivò a suicidarsi perché non riusciva più a convivere con il rimorso di quell’evento.
D’altra parte non c’è nulla di nuovo nell’uso di sostanze stupefacenti prima della battaglia. È stata la stessa Bayer, a fine 800, a mettere a punto l’”eroina”, così chiamata proprio per la capacità di accrescere lo sprezzo del pericolo nei soldati tedeschi. Dalla guerra in Vietnam l’esercito americano ha iniziato a utilizzare farmaci psicotropi: psicostimolanti detti “go-pills” e sedativi da utilizzare dopo le missioni chiamati “no-go pills”. Per la prima volta, durante la guerra in Afghanistan, il Pentagono ha ufficializzato l’uso di amfetamine (Dexedrina) nei piloti in un documento di 58 pagine dal titolo: “il mantenimento della prestazione durante le operazioni di volo continuato” 5. Al di là di ogni riflessione di natura etica, le pesanti alterazioni psichiche indotte da tali sostanze sarebbero addirittura chiamate in causa dall’aeronautica militare nelle indagini su incidenti causati dal “fuoco amico”, come nel caso del pilota americano che nell’aprile 2002, durante le operazioni in Afghanistan, ha sganciato per errore 500 libbre di bombe su una postazione della fanteria canadese uccidendo quattro soldati alleati.
La storia del “soldato scelto” Corey Small
E’ il 3 luglio 2003 e ad East Berlin, in Pennsylvania giunge la notizia della morte del “soldato scelto” Small, ventenne della “502nd Military Intelligence Company”, accampato in un ospedale abbandonato di Baghdad, senza luce ed elettricità. Il Paese intero si stringe intorno all’eroe: l’evento scatena le prime pagine dei giornali locali, in centinaia partecipano ai funerali, si apre un fondo bancario, si organizzano aste benefiche in sostegno alla vedova e al figlio di quattro anni (si parla addirittura di un sandwich venduto per trecento dollari), l’ “American Legion” decide di intitolargli la propria caserma 6. Fino a quando si scopre che il “soldato scelto” dalla collettività - prima come perfetto robot di guerra, poi come icona martire in cui riconoscersi -, non è caduto in modo onorevole sul campo di battaglia. Vergognosamente suicida con un colpo d’arma da fuoco, proprio davanti ai commilitoni, nell’attesa di utilizzare il telefono. Una telefonata mai fatta, un dolore così tragicamente espresso, un’accusa disperata che mette a nudo tutta la distruttività e il demoniaco nascosti nelle ipocrisie di ogni East Berlin e di ogni disumana retorica di guerra.
Note
Consigliere nazionale di Pax ChristiBIBLIOGRAFIA
1. George W Bush. “Discorso del Presidente dalla portaerei USS Abraham Lincoln”: Casa Bianca, Ufficio dell’Addetto Stampa, 1 maggio 2003 San Diego, California.
2. Usa Today. Disponibile a http://www.usatoday.com/news/nation/2003-10-13-army-suicides-usat_x.htm
3. Kang et al. ”Post-Traumatic Stress Disorders and Chronic Fatigue Syndrome-like Ilness among Gulf War Veterans: A population-based Survey of 30.000 Veterans”, American Journal of Epidemiology 2003;157(2):141-148.
4. University of California. Disponibile a
http://www.pub.ucsf.edu/today/print.php?news_id=2003102312
5. Naval Safety Center. Disponibile a
http://www.safetycenter.navy.mil/aviation/aeromedical/performancemanual.htm
6. Usa Today. Disponibile a http://www.usatoday.com/news/nation/2003-10-12-suicide-inside-usat_x.htm