Datemi una tomba su cui piangere
Dal 2006 le Nazioni Unite hanno adottato la “Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata”. Si tratta di uno dei capitoli importanti per poter declinare concretamente la Dichiarazione universale dei Diritti Umani. E non consiste soltanto nel dichiarare fuorilegge il sequestro di persona, quanto piuttosto nel richiedere a tutte le istituzioni preposte di provvedere a prevenire e sanzionare questo crimine terribile. In questi giorni, dieci esperti nominati dalle Nazioni Unite, a Ginevra, stanno prendendo in esame il caso Messico, dove le persone desaparecidas sono migliaia e migliaia. È molto importante che i dieci abbiano deciso di ascoltare non soltanto i rappresentanti delle istituzioni messicane, ma anche alcuni familiari degli scomparsi. Tra questi ci sono due genitori dei 43 studenti scomparsi a Iguala il 26 settembre scorso e altri con cui, come Libera, siamo in relazione costante. Un figlio, una compagna, un marito scomparso è peggio che morto. La sparizione di una persona che ami ti lascia in un limbo indefinito, che si trasforma nella peggiore delle torture. Quante volte abbiamo sentito ripetere: “Voglio una tomba su cui piangere e su cui deporre un fiore”. Le audizioni di Ginevra termineranno oggi. Da quel che si è saputo, i rappresentanti degli organismi governativi (Comision Nacional de Derechos Humanos) messicani sono stati poco convincenti, hanno faticato a far coincidere i numeri degli scomparsi e non sono stati in grado di offrire spiegazioni né sulle motivazioni delle scomparse, né sulle misure messe in atto per non lasciare impuniti quei delitti. Hilda Legideño, Bernabé Abraján, Guadalupe Fernandez, sono lì a Ginevra in questi giorni e non perdono la speranza di ritrovare i propri figli. Ma nemmeno quella di fermare quel buco nero che ingoia vite normali.