Miniere. Le chiese non si lasciano comprare

10 aprile 2015 - Tonio Dell'Olio

Chiunque frequenti le realtà sociali dell’America Latina conosce bene i disastri sociali e ambientali provocati dalle multinazionali delle miniere. Contadini costretti ad abbandonare le proprie terre con le buone o con le cattive, conflitti sociali che si protraggono nel tempo con un drammatico carico di sangue, inquinamento su vasta scala che rende inservibili le terre fonte di sopravvivenza per le popolazioni indigene ecc. Tra le strategie adottate dalle multinazionali vi è quella di carpire il favore delle popolazioni con attività sociali (costruzione di ospedali e scuole, progetti…). Le comunità cristiane molto spesso hanno giocato un ruolo importante per l’affermazione dei diritti a tal punto da contare il proprio carico di “martiri ambientali”. E allora avviene che le stesse imprese cerchino di comprare il silenzio delle chiese distribuendo laute offerte per… venire incontro alle esigenze delle comunità. Ultimamente, però, le multinazionali hanno alzato il tiro, fino a proporre di introdurre, nei corsi dell’insegnamento teologico di preparazione di preti e pastori, una disciplina per “apprendere a mediare i conflitti tra popolazioni e industrie minerarie”. Non si è fatta attendere la risposta da parte di “Chiese e miniere”, un coordinamento ecumenico composto dalla Rete Ecclesial Panamazzonica (REPAM), del settore di Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Latinoamericana (CELAM) e dal Consiglio Latino Americano delle Chiese (CLAI). Parole molto dirette, che rifiutano questa ennesima offerta e chiedono, piuttosto, il rispetto dei diritti umani e, soprattutto, delle leggi internazionali, che prevedono il preventivo accordo delle popolazioni, prima di intraprendere attività che interessino il sottosuolo e la terra, che essi stessi abitano. Il titolo del documento: Lettera aperta sulla seduzione da parte delle imprese estrattive.

Fonte: www.redamazonica.org

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