La concretezza del Vangelo
Nell’appello lanciato domenica scorsa durante l’Angelus da Papa Francesco non mi colpisce tanto (o soltanto) l’invito ai cattolici che abitano in Europa ad accogliere una famiglia di profughi, quanto la motivazione: “esprimere la concretezza del Vangelo”. Ovvero l’esigenza di saldare la fede con la vita. Soffiare via la polvere da ciò che per alcuni è solo un libro. Anche se per molti tutto questo sembra scontato e acquisito, vi assicuro che non lo è affatto per tanti altri. E Francesco l’ha capito. Non tutti hanno compreso che non si tratta semplicemente di un racconto o di una raccolta di racconti che vedono Gesù di Nazareth come protagonista, ma di una parola di vita. Ovvero di un invito a vivere secondo un capovolgimento di valori, di scelte, di stili. Quel Vangelo è una navigazione controcorrente e, se non lo rendi concreto, serve a poco. Concreto è l’esatto opposto di astratto e indica la solidità di un materiale. A questo i cristiani sono chiamati: ad esprimere la concretezza del Vangelo. A cos’altro se no?