Alla scuola di Rosario Livatino
Rosario Livatino era uno di quei magistrati di poche parole. Poche apparizioni pubbliche, poche interviste, niente salotti buoni. Per lui parlavano le inchieste scottanti che portava avanti, l’acume investigativo, zero compromessi. Per quanto possa sembrare strano, l’ostilità gli venne non solo e comprensibilmente dagli ambienti malavitosi, ma anche dalle istituzioni che avrebbero dovuto sostenerlo e proteggerlo. A distanza di 25 anni (venne ucciso il 21 settembre 1990) la vita discreta di questo giovane resta un riferimento illuminante su metodo e sostanza dell’agire per la giustizia. Ma anche una testimonianza di vita e di fede. Ucciso quando aveva 38 anni, Rosario Livatino ha vissuto il suo impegno professionale come dovere civico e morale. Ed è un vero peccato che in molti si siano accorti solo dopo del suo alto valore e gli abbiano attribuito onori e onorificenze... alla memoria. La vicenda di Livatino deve farci piuttosto aprire gli occhi sull’oggi. È una provocazione per i nostri comportamenti e i giudizi fin troppo sbrigativi che scarichiamo su situazioni e persone. Che Rosario Livatino ci contamini almeno un poco col suo rigore, con la sua inflessibilità e con la sua testimonianza di fede. Ho ragione di credere che molti dei problemi che ci troviamo ad affrontare oggi, altro non sono che la somma di tanti piccoli compromessi, quasi impercettibili, trascurabili, che abbiamo collezionato nel corso del tempo. Fiocchi di neve che diventano slavina.