Recuperare la pratica della nonviolenza

Un gruppo di intellettuali palestinesi invocano la nonviolenza e la riconciliazione.
6 aprile 2004 - Amina Donatella Salina

Per la seconda volta in pochi anni un gruppo di intellettuali palestinesi propongono di uscire dalla spirale di violenza innestata dalla strategia dei kamikaze, attraverso il recupero della pratica della nonviolenza. Il primo appello era stato lanciato durante la seconda Intifada da una serie di personalità dell'area moderata palestinese tra cui il Rettore dell'Università araba di Gerusalemme dr. Sari Nusseibeh. Centinaia di persone aderirono all'appello proprio mentre in Israele i pacifisti e la sinistra israeliana cercavano di uscire dalla logica della guerra e della rappresaglia.
Un importante opera per la pace veniva svolta dai sostenitori, palestinesi e israeliani della costruzione di due Stati per due popoli. Intellettuali israeliani e palestinesi criticavano la politica guerrafondaia della destra israeliana cominciando a mettere in forse il fatto che la vittoria dell'uno dovesse coincidere con la sconfitta dell'altro. Esistono infatti molteplici associazioni e progetti di pace che vedono il lavoro comune di Israeliani e Palestinesi .Il secondo appello, di pochi giorni fa è stato lanciato da Hisham Abu Lafi e firmato da una sessantina di importanti personalità politiche e culturali palestinesi.
Chiedono il ripudio assoluto del terrorismo e della violenza e una politica di interposizione da parte dell'Unione Europea tra i due contendenti. Questa volta la situazione è per il popolo palestinese veramente disperata. la Cisgiordania e la striscia di Gaza sono ormai diventate Hamasland mentre la politica di Sharon spinge all'annientamento dello stesso popolo palestinese.
Arafat e l'autorità palestinese appaiono isolati dal punto di vista internazionale e privi di qualsiasi autorità reale sulle masse. La corruzione di settori dell'Olp è un fatto come è un fatto la disgraziata politica di Hamas che punta sull'uso del terrorismo e sullo scontro militare. Un cocktail esplosivo che aumenta i rischi di instabilità della regione senza preparare in alcun modo una possibile alternativa. La militarizzazione dell'Intifada ha portato alla crescita della violenza da entrambe le parti, mentre migliaia di civili palestinesi soffrono la fame, la miseria,la disoccupazione. I territori occupati sono una prigione a cielo aperto. L'odio accumulato per anni e anni rende impossibile qualsiasi fenomeno di riconciliazione tra i due popoli nemici e separati.
Proprio per questo è necessario, oggi, recuperare la pratica della nonviolenza e della riconciliazione tra tutti gli amanti della pace. Palestinesi ma anche Israeliani che vogliano dare ai Palestinesi stessi il diritto di abitare la loro terra, e alla Palestina intera la pace, una pace duratura e stabile. La stessa pace che hanno invocato per anni le donne in nero di tutto il mondo.
Dal punto di vista islamico non c'è nulla che proibisca nel Corano o nella tradizione, l'uso di strategie nonviolente. Gandhi stesso lottò per l'indipendenza dell'India avendo al suo fianco sia Musulmani che indù. Il Mahatma aveva un grande rispetto per i Musulmani e per il Corano, non ostacolò mai l'Islam in sé e non appoggiò mai il nazionalismo indù ma si fece portavoce di una visione di grande rispetto e grande tolleranza per tutti.
Si oppose fortemente all'uso della violenza su base religiosa. Aveva ragione poiché in effetti è vietato per i Musulmani l'uso della violenza a fini offensivi. Non solo, ma proprio lavorando con Gandhi, un musulmano Abdul Giaffar Khan fondò una confraternita i “servi di Allah” che lavoravano tra le persone povere e diseredate favorendo la pace e combattendo una vera e propria “jihad nonviolenta” contro l'odio e per la riconciliazione tra Musulmani e non Musulmani. In Palestina esistono moltissime persone sinceramente pacifiste. Ma esiste anche un problema di leadership corrotte o estremiste che devono tornarsene a casa. o cambiare strategie.
Proprio per questo come Musulmani moderati dobbiamo capire che è necessario che in Palestina nasca una nuova leadership di persone oneste, democratiche e nemiche del terrorismo. L'abbandono del terrorismo aprirebbe alla resistenza palestinese un periodo di ripresa dal punto di vista dell'immagine grandemente offesa dalla strategia di Hamas.Nessuno più potrebbe associare il popolo palestinese al terrorismo. Inoltre ciò depotenzierebbe il terrorismo fondamentalista e quello laico, aprirebbe la questione della democratizzazione della classe dirigente palestinese e sconfiggerebbe la strategia di Sharon. Infatti la destra israeliana punta a un innalzamento della tensione dal punto di vista militare ciò giustificherebbe ancora una volta la repressione del popolo palestinese e l'estensione delle occupazioni dei coloni. Inoltre la sinistra israeliana potrebbe liberamente riaprire la discussione sulla possibilità di costruire due popoli per due Stati. La sinistra europea, con in testa D'Alema ha proposto l'ammissione di Israele e soprattutto della Palestina come candidati dell'Unione Europea. Ciò permetterebbe alla Palestina di poter vendere i propri prodotti all'estero e di poter ricostruirsi dal punto di vista economico oltre che statale. È chiaro che dietro ai tentativi di interventismo umanitario dell'Unione Europea ci sono anche interessi economici Tuttavia sarebbe l'unico modo per mettere Sharon in condizione di non nuocere e permettere la costruzione e il riconoscimento internazionale dello Stato palestinese come una entità dotata di sovranità effettiva e di una economia vitale.
A partire da ciò si dovrebbe depotenziare il terrorismo e non il contrario.
Tra l'altro esiste come è documentato da Amnesty anche un problema di violazioni massicce dei diritti umani e democratici da parte del governo di Sharon nei territori ai danni della popolazione civile. L'interposizione di forze di pace Onu o di osservatori internazionali non permetterebbe più a Sharon di poter fare il comodo suo lontano dai riflettori e permetterebbe di documentare ampiamente le reali condizioni dei profughi palestinesi.

Note

Sociologa, esponente della comunità islamica romana


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(Centro per la risoluzione dei conflitti e la riconciliazione)
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