REFUSENIK
Il pacifismo non tiene ancora sufficiente conto del livello di estensione internazionale dell’obiezione di coscienza alla violenza militare istituzionale. La storia del rifiuto a prestare servizio militare ha una evoluzione interessante e nuova in Israele, Paese che ha l’obbligo della leva
per uomini e donne: nato negli anni Settanta del secolo scorso, ha preso forza al tempo della guerra del Libano (1982), comportando centinaia di processi ignorati dai media internazionali e anni di carcere per ragazzi e ragazze definiti dai giudici militari, anche in una recente sentenza, non pacifisti, ma “egoisti”.
Un revival “scandaloso” si è evidenziato recentemente – e questa volta anche sulla stampa italiana – con la disobbedienza dei piloti che si sono rifiutati di “partecipare alle esecuzioni mirate nei Territori occupati”.
Si tratta di militari leali a un esercito che, nel suo statuto, riconoscerebbe il rispetto dei diritti e il mantenimento della propria umanità: “Il soldato non utilizzerà le proprie armi né il proprio potere per far del male a persone che non sono combattenti o prigionieri e farà tutto ciò che è in suo potere per impedire un’aggressione alle loro vite, ai loro corpi o alle loro proprietà” (dichiarazioni dei refusenik su "Unità" e "Manifesto" dell’8 febbraio 2004).
Quando vennero ordinati attacchi giudicati “immorali e illegali”, questo gruppo di ufficiali sionisti si è dichiarato refusenik e ha rivendicato il diritto della coscienza a ubbidire ai principi costitutivi dello Stato democratico israeliano anche in condizioni di guerra. Si è trattato di un’autentica sfida ad Ariel Sharon e a uno Stato maggiore adeguato alla linea oltranzista del governo e orientato a ottenere una disciplina a qualunque ordine ricevuto, inducendo nei soldati indifferenza per i principi umanitari.
Non hanno le motivazioni dei refusenik, ma anche quattro piloti italiani in Iraq si sono rifiutati di decollare con elicotteri a loro giudizio insicuri e rischiano un processo per ammutinamento.
Con gli eserciti professionali ormai presenti in tutta Europa non è indifferente riflettere su queste nuove forme di “obiezione”: le “guerre umanitarie” si stanno infatti rivelando molto pericolose per la coscienza comune.