Natale, venire alla luce

3 dicembre 2015 - Sergio Paronetto

È giusto difendere pubblicamente il Natale. Le feste religiose possono essere tutte vissute e raccontate in un clima di scambio di esperienze.

La laicità è inclusiva, espressione delle identità (in dialogo). È giusto esporre pubblicamente il presepio (o il crocifisso). Ma i militanti di alcuni partiti lo usano per scopi ristretti, contrari al loro significato. A Rozzano hanno manifestato gridando col presepe in mano. Un’esibizione esterna, estranea alle dinamiche della scuola e del paese. E non si può pensare di affondare i barconi di disperati, gridando contro l’islam o invocando guerre, tenendo il presepe in mano. Non si può usarlo come rivendicazione escludente o come argine identitario.

Il presepe racconta una storia di povertà (abissale), di accoglienza (mancata) e di vita (gioiosa).

Ci dice che si rende gloria a Dio seminando pace, costruendo ponti di umanità.

La sua identità è relazionale. È lieto annuncio. Ai cristiani ricorda il mistero di un amore infinito.

È una casa accogliente aperta allo stupore dei “piccoli” (pastori) e dei “popoli” (magi). 

È il luogo di una nascita. È l’invito a venire alla luce. A rinascere. A curarci l’uno dell’altro. A cambiare il mondo.

È la rivoluzione di una combattiva tenerezza. 

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