Di quale misericordia intendiamo parlare?
Sull’ultimo numero di Internazionale la scrittrice nigeriana, Chimamanda Ngozi Adichie (Einaudi ha pubblicato Dovremmo essere tutti femministi) racconta la sua “educazione cattolica”. Da bambina, racconta, “adoravo la messa e il suo vortice di musica e rituali… era un’esperienza al tempo stesso spirituale e sociale, un’esperienza per vedere ed essere visti, salutare e spettegolare e trovare conforto…. Tracciarmi una piccola croce sulla fronte, sulle labbra e sul petto prima della lettura del Vangelo, inchinarmi durante il Credo… mi faceva sentire speciale, come se avessi ottenuto l’accesso a un’elaborata grotta dei segreti piena di codici e di talismani: l’anello, il rosario di rame, la medaglia miracolosa di plastica azzurra…”. A 16 anni ebbe a sapere che a una coppia di cristiani era stata negata l’eucaristia perché la figlia aveva sposato un non cattolico divorziato e da quel momento incominciarono a crescere le perplessità, soprattutto nell’affrontare le discussioni a scuola con i compagni protestanti: “ero inorridita dalla rapidità con cui la Chiesa ostracizzava e umiliava, da come la minaccia del castigo fosse sempre incombente…l’enfasi con cui raccoglievano soldi, il potere tracotante dei preti, il crescente scarto tra la dottrina e la vita delle persone…”. Le si rivelava “una Chiesa che aveva paura di se stessa”. Mandata a studiare in un college americano, pensava di aver finalmente trovato una Chiesa del Vangelo: le piacevano le messe degli studenti con le chitarre, non il prete che sempre parlava di aborto e diceva ai cattolici come dovevano votare. Così aveva finito per non sentirsi più cattolica, ma solo “una persona educata da cattolica”. Adesso è felice perché c’è papa Francesco che “sembra dare alla persona lo stesso valore che dà all’istituzione… capace di fare la meno cattolica delle dichiarazioni: non so”.
Chimamanda è nata nel 1977: da noi allora molti preti in confessione chiedevano ancora – prima di tacere perché non volevano più sentire – informazioni indiscrete sulla vita privata, facevano le stesse prediche sull’aborto e le votazioni, erano contenti se la gente diceva il rosario durante la messa. Eppure era già transitato Giovanni XXIII ed era già finito il Vaticano II. Di cui alle parrocchie della Nigeria e perfino degli Usa sembra non fosse arrivata notizia. In Italia avevano accolto con gioia la precisazione di papa Giovanni che “il Vangelo non cambia, siamo noi che impariamo a leggerlo meglio” molti che già venivano definiti “del dissenso”; nemmeno la loro gioia riuscì ad arginare l’inerzia della maggioranza che si entusiasmava per il Papa “buono” (Pio XII era cattivo?), ma poi si inchinava al vescovo tradizionalista e ascoltava la solita messa con la solita devozione. Non siamo riusciti a fare di più dentro le nostre diocesi.
Oggi siamo pur sempre i soliti cattolici poco cresciuti in grazia e verità (qualcuno ha preso atto del Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia a cura di Alberto Melloni?). Non sarebbe già ora rifare il punto della nostra conoscenza ecumenica approfittando del quinto centenario, l’anno prossimo, della Riforma di Lutero (che per i protestanti è il loro Giubileo? Magari in nome del Giubileo cattolico “della misericordia”…)?.
Non voglio apparire come la solita intellettuale che fa prediche: Papa Francesco va difeso con maggior coraggio sia nei confronti dell’opposizione palese, sia, soprattutto, di quella strisciante e insidiosa alla base, favorita dalle ambigue difficoltà in cui naviga il mondo oggi. Francesco è impegnato in una sfida che non appare così rischiosa come invece è, con buona pace dei laico-laicisti che, ignoranti anche loro delle ragioni del credere, lo proclamano di sinistra, senza accorgersi di appoggiare i reazionari a cui non par vero di trovare conferme alle loro accuse al “papa comunista”.
Ma, tra parentesi, avete mai visto sulle reti commerciali della tv (spero di non vedere mai cose del genere su quelle pubbliche) la pubblicità della “coroncina della misericordia” che sfrutta la voce del Papa mentre pronuncia la parola “misericordia” come se approvasse quest’operazione regressiva e contraddittoria, di pessimo gusto a vedersi e blasfema nel contenuto anche se fosse solo commerciale?