Utopia e realismo
Può davvero profilarsi, un giorno futuro, la realtà di un mondo senza armi? Potranno assistere i nostri nipoti – o i figli dei nostri nipoti – alla celebrazione universale per la fine di ogni tipo di guerra? Potrà la pace sventolare dai tetti di tutte le città del mondo, diventare il punto di non ritorno di una civiltà finalmente libera dalla violenza e connessa con rapporti di amicizia e concordia con tutti i popoli che la abitano?
Sogni e sognatori
Se il sogno di Thomas More era arrivato a ipotizzare una società che nel cuore atroce del conflitto, come conquista di terre e imposizione di fedi e di identità culturali (la conquista dell’America entrava, in quegli anni, nella fase più cruenta della mattanza), avesse la consapevolezza che la guerra fosse qualcosa di assolutamente belluino “anche se nessuna specie di belve ricorre ad essa altrettanto quanto l’uomo” – e dunque accettabile solo come strumento di difesa – l’occhio utopico del pacifista del terzo millennio immagina il tempo assoluto della nonviolenza, la fine degli eserciti, la chiusura di ogni fabbrica di armi, la condanna finale di ogni violenza di sistema: ‘Puoi dire che sono un sognatore / Ma non sono il solo / Spero che ti unirai a noi anche tu un giorno / E il mondo vivrà in armonia’ (John Lennon, Imagine)”.
Perché siamo sempre lì, nel cuore di un dibattito che ha scandito per intero l’evolversi della storia umana: “Il pericolo che l’umanità corre davanti allo strapotere dei mezzi bellici è troppo alto e pregiudica radicalmente la vita sul pianeta terra” dicono gli utopisti che invocano la pace perpetua. “È folle e ingenuo pensare che la pace nel mondo possa fondarsi sull’esercizio della nonviolenza. Al contrario per difendere la sicurezza dei cittadini e la libertà è necessario preservare l’equilibrio delle forze in campo”, replicano i realisti che confidano nell’uso delle armi per dirimere i conflitti in corso.
Dialoghi
Sul carteggio tra Sigmund Freud e Albert Einstein, importantissimo per le ragioni della pace e della nonviolenza, Mosaico di pace, nel numero di gennaio, ha dedicato un articolo a cura di Fabrizio Truini, una riflessione che prosegue peraltro anche nel sito di Mosaico di pace, nella rubrica “mosaiconline”.
Giosuè Carducci, nel chiudere il quarto dei suoi Discorsi dello svolgimento della letteratura nazionale, metteva a confronto le due figure più importanti del Rinascimento italiano: Girolamo Savonarola e Niccolò Machiavelli, ossia il frate-profeta che propugnava disgrazie per Firenze e l’Italia, sfidando “ingenuamente” il papa Alessandro VI, che lo scomunicò mandandolo al rogo, e il politico-scrittore dal riso beffardo e dallo sguardo cinico riguardo alle virtù e ai doveri della politica: “... e fra le ridde de’ suoi piagnoni – scrisse Carducci – non vedeva povero frate, in qualche canto della piazza, sorridere pietosamente il pallido viso di Niccolò Machiavelli”.
Se per un lungo corso della storia umana la profezia di Savonarola e lo sguardo beffardo di Machiavelli si sono guardati da lontano, rappresentando due visioni inconciliabili della realtà, oggi si sono create le condizioni per integrare le ragioni dell’utopia nel discorso severo del realismo politico.
Vi siete mai chiesti cosa direbbe Machiavelli davanti allo spettacolo tragico di un’umanità esposta al rischio del suicidio a causa del potenziale bellico a sua disposizione? Che farebbe il principe? Azionerebbe il detonatore per far saltare in aria l’intero pianeta, o si prodigherebbe per realizzare forme di convivenza pacifica affinché le ragioni della politica, come forma di difesa del bene comune, possano avere la meglio sulle scelte disumane e del suicidio cosmico?
La lotta alla guerra
D’altronde era proprio su questo dissidio che si sono confrontati due dei più importanti uomini di scienza del Novecento: Albert Einstein e Sigmund Freud. Nel famoso carteggio del 1932 il più grande manipolatore della materia si confrontava con il più importante indagatore della psiche umana e gli chiedeva: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. E il quesito veniva spiegato così: “È ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta, eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa”. Freud non si scompose minimamente e replicò con grande lucidità in una risposta articolata e profonda facendo ricorso al materiale in suo possesso: “Partendo dalla nostra dottrina mitologica delle pulsioni, giungiamo facilmente a una formula per definire le vie indirette di lotta alla guerra. Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra. Questi legami possono essere di due tipi. In primo luogo relazioni che, pur essendo prive di meta sessuale, assomiglino a quelle che si hanno con un oggetto d’amore. La psicoanalisi non ha bisogno di vergognarsi se qui parla di amore, perché la religione dice la stessa cosa: “Ama il prossimo tuo come te stesso. Ora, questo è un precetto facile da esigere, ma difficile da attuare. L’altro tipo di legame emotivo è quello per identificazione. Tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte l’assetto della società umana”.
Freud ricuce magistralmente la dialettica fra utopia e realismo. E si affida a Eros. In fin dei conti è tutto qui il disvelamento dell’utopia nel terzo millennio: l’amore come pulsione unitiva, simile a un amplesso. Dove trionferà l’amore sarà la pace, dove, al contrario, l’amore verrà spezzato dalle lance dell’antagonismo, allora dominerà la violenza. Insomma, per dirla ancora con John Lennon, “noi viviamo in un mondo in cui ci nascondiamo per fare l’amore, mentre la violenza e l’odio si diffondono alla luce del sole”. Basterebbe un sano realismo per rovesciare il problema: mettere a nudo l’amore e sigillare la guerra.
E avremo la pace. Perpetua.