ULTIMA TESSERA

Pietà l'è morta

Il dramma dei migranti e la chiusura delle nostre frontiere. Quale politica in Europa? Quale responsabilità comune mentre vediamo erigere muri e fili spinati?
Luisa Morgantini (Già vicepresidente del Parlamento Europeo, www.luisamorgantini.net)

Sono anni che rimbombano nella mia testa queste parole: pietà l’è morta. Donne, uomini, bambini morti in mare, migliaia in questi anni. E maree di persone in cammino, nel freddo, nel fango, nel calore e nel gelo del deserto, derubati da trafficanti senza scrupoli. Quando intraprendono il viaggio, sanno ormai di poter morire. E partono, con le poche cose che riescono a portare. Noi sappiamo i numeri dei corpi senza vita raccolti in mare o sulle spiagge, ma non conosciamo le loro storie, quelle di ogni singola persona. Cosa ha lasciato dietro di sé? Cosa sperava di trovare? Maree di persone, così diverse tra loro, non solo per provenienza ma per condizione sociale e culturale. Persone che camminano, con la speranza di salvarsi.

Fuggono dalle guerre, dalle discriminazioni, dalla povertà, uniti dal bisogno e dalla volontà di vivere, con la speranza di trovare un lavoro, di rifarsi una casa, un futuro.

Nel 2015, poco più di un milione di persone sono riuscite ad arrivare in Europa, dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan, dall’Eritrea, dalla Libia, dalla Palestina, dall’Albania, dal Kosovo, dalla Serbia, dall’Ucraina, dalla Somalia. Non molti, se si confrontano con gli abitanti dei 28 Paesi Europei, che sono più di 500 milioni.  Non molti se si pensa che il Libano, con cinque milioni di abitanti, ha ormai milioni di profughi delle diverse guerre, a partire da quella del 1991 contro l’Iraq, dopo la sua l’invasione del Kuwait, sino alla odierna guerra in Siria. Stessa situazione in Giordania, ma anche in Turchia, che ormai ha più di 2 milioni di profughi siriani. 

A fine 2014 il numero di migranti forzati in Europa ha raggiunto quota 6,7 milioni, rispetto ai 4,4 milioni alla fine del 2013, in aumento del +51%, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nel rapporto annuale Global Trends 2014. I Paesi europei che hanno ricevuto il maggior numero di domande di asilo sono stati la Germania e la Svezia.

Ma il mondo è molto più grande dell’Europa e i rifugiati sono quasi 60 milioni. Sono 59,5 milioni i migranti forzati costretti a fuggire dalle loro case alla fine del 2014 rispetto ai 51,2 milioni di un anno prima e ai 37,5 milioni di dieci anni fa. L’incremento rispetto al 2013 è stato il più alto mai registrato in un solo anno. Sempre secondo l’Unhcr, nel 2014, ogni giorno 42.500 persone in media sono diventate rifugiate, richiedenti asilo o sfollati interni, dato che corrisponde a un aumento di quattro volte in soli quattro anni. Se i 59,5 migranti forzati nel mondo componessero una nazione, sarebbe la ventiquattresima al mondo per numero di abitanti.

La distribuzione globale dei rifugiati è fortemente sbilanciata verso le nazioni classificate dalle Nazioni Unite come le meno sviluppate, mentre le più ricche risultano interessate in misura inferiore (quasi 9 rifugiati su 10, 86%). Asia, Africa, Medio Oriente, Americhe con la Colombia: ovunque i profughi o migranti forzati o sfollati sono aumentati, così come le guerre, molte dimenticate, in Africa, con i Paesi vicini che assorbono milioni di profughi – come l’Etiopia o il Sud Africa. E ovunque – come in Europa – insieme all’accoglienza difficile cresce il razzismo.

“Siamo di fronte a un cambio di paradigma, a un incontrollato piano inclinato in un’epoca in cui la scala delle migrazioni forzate, così come le necessarie risposte, fanno chiaramente sembrare insignificante qualsiasi cosa vista prima”, ha dichiarato l’ex Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati António Guterres nel presentare il rapporto. “È terrificante che da un lato coloro che fanno scoppiare i conflitti risultano sempre più impuniti, e dall’altro sembra esserci apparentemente una totale incapacità da parte della comunità internazionale a lavorare insieme per fermare le guerre e costruire e mantenere la pace”.

E noi, la grande Europa, l’Europa dei diritti, l’Europa del soft power, quella che tutti i popoli del mondo in via di sviluppo o oppressi da dittature vedono come la paladina dei diritti umani, come rispondiamo? Non troviamo una politica di responsabilità comune mentre vediamo erigere muri e fili spinati in Slovenia, in Ungheria, a Calais, ma da lungo tempo, prima di questo “esodo epocale” anche in Spagna, a Melilla. Mentre leader politici senza nessun freno, vomitano il loro razzismo, legittimandolo, e i giornalisti in Italia danno spazio sul cartaceo e in Tv alle voci più arroganti e superficiali come quella del leghista Salvini, il cui cinismo fa perdere i sensi, urla contro i politici, fa la voce grossa per impedire che si scoprano le sue contraddizioni. Aizza e incita all’odio, alla paura contro musulmani, rom, immigrati e profughi. Se il giornalismo in Italia fosse etico e legato al principio della libertà d’espressione, alle farneticazioni di una persona come Salvini non darebbe nessuno spazio. Ma Salvini non è solo. Molti sono i giornalisti che, per fare audience, invece di educare le persone al rispetto dei valori fondatitivi dell’Unione Europea, lavorano sulle paure delle persone, soprattutto in periodi di crisi economica generale. Molti sono i politici convinti xenofobi,  e che ritengono di poter vincere le elezioni con il proprio razzismo. Questa tendenza sembra avanzare in tutta Europa, dalla portavoce del Partito dell’Alternativa per la Germania, Frauke Petry, che ha espresso chiaramente la necessità di usare le armi per respingere i migranti, al Presidente dell’Ungheria, Orban, il quale rasenta il nazismo.

Questi potrebbero essere punti di vista estremi, ma che dire delle politiche dei governi europei nel loro insieme? Nessuna riflessione sul fatto che i migranti forzati sono profughi delle nostre guerre, scatenate per “esportare democrazia”, con risultati finora di smembramento di Paesi, di guerre civili, di torture, massacri e crescita di forze criminali come l’Isis. E continuiamo nello stesso modo minacciando ogni giorno interventi militari, potenziando il mercato delle armi, il sistema Nato e chiudendo le frontiere. Un barlume di umanità, che si spera abbia conseguenze concrete, è stata la dichiarazione del nostro premier Renzi nel suo viaggio in Africa, il quale ha dichiarato che, rispetto ai migranti forzati, la cosa principale per l’Europa sarebbe quello di costituire un “patto di umanità” e non “un patto di stabilità”, anche se la stabilità potrebbe arrivare proprio da un impegno per l’integrazione e la costruzione di passaggi sicuri per i profughi. E, invece, vediamo sempre più fili spinati, muri. E Paesi, come la Danimarca. Ma anche altri, che approvano leggi dove si sequestrano beni, denaro e gioielli (bontà loro lasciano le fedi nuziali) a chi arriva nel loro Paese e non viene rimandato indietro, beni che servirebbero alle spese d’accoglienza. Una legge che non permetterà, ai profughi riconosciuti, il ricongiungimento familiare se non dopo tre anni di permanenza nel Paese. Ecco la nostra umanità: tenere separate le famiglie, lasciare i bambini soli (si calcola che i bambini profughi, solo dalla Siria, siano due milioni!).

In Italia, salviamo la gente dal mare, ma poi, una volta riconosciuto lo status di profugo, li abbandoniamo per la strada, senza nessuna assistenza. È un sogno un piano economico e di costruzione di case che veda i profughi con le loro competenze essere coinvolti e pagati?

A volte la notte, sento l’angoscia e la paura di chi stava per essere sommerso dalle acque gelide del mare. Non sopporto l’idea che siano morti e ho l’impressione di annegare anch’io e non prendo sonno. Lo so, non bisogna lasciarsi prendere dalle emozioni così forti, dalla rabbia, dal dolore, dall’indignazione, dall’impotenza. Bisogna mantenere razionalità e lucidità, capire come si possa affrontare questo ritorno alla barbarie, ma soprattutto come trovare soluzioni per chi pensava che, venendo in Europa, avrebbe trovato la “civiltà” e l’accoglienza. “La solidarietà è la tenerezza dei popoli”. E tante sono le esperienze positive. La pietà non è ancora morta.

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