La guerra sporca
Quella in atto è una guerra sporca. Non che ce ne siano di pulite. Ma così bisogna definire la guerra condotta in maniera indiscriminata che colpisce senza selezionare troppo gli obiettivi secondo la strategia tipica del terrorismo. Duole dirlo in queste ore, proprio mentre si sta facendo ancora il conto preciso delle vittime degli attacchi all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles, ma la logica è la stessa dei bombardamenti che colpiscono dall’alto senza riuscire a discriminare con assoluta esattezza gli obiettivi. Per questo dobbiamo prendere coscienza di trovarci all’interno di una guerra sporca. Perché è lontana più di mille anni luce persino da quelle norme internazionalmente riconosciute per regolare i conflitti (jus in bello) e non ha nulla a che vedere con la guerra in cui solo pochi cavalieri si affrontavano sul terreno a nome e per conto della loro fazione. “Siamo” in guerra significa che non siamo solo vittime ma anche soggetti attivi. La stiamo combattendo. E forse c’è da pentirsi per aver investito molte più risorse nel rendere sempre più mortali e invincibili i sistemi di combattimento piuttosto che affinare strategie e mezzi di spionaggio e prevenzione. Ci rendiamo conto oggi che questi si sarebbero rivelati molto più utili di quegli altri. Ci rendiamo conto che se ci fossimo impegnati di più a controllare commercio e traffico delle armi... Ci rendiamo conto che se non avessimo condotto un’economia di rapina e avessimo piuttosto – noi europei – rafforzato cooperazione e dialogo, avremmo meno nemici e più alleati in giro per il mondo.