Gianmaria Testa cantore degli ultimi
Quando muore un poeta, un pittore o un cantautore come Gianmaria Testa perdiamo l’occasione di una carezza in più per i nostri giorni. Perché persone così ci aiutano a scrutare l’anima stessa dei giorni e a dare le parole alle emozioni, ai sentimenti e persino alle cose. Questo ferroviere cantautore ci ha aiutato ad attingere il nome segreto delle situazioni. E lo ha fatto in punta di piedi. Sommessamente. Come la sua voce e i suoi ritmi. Senza rincorrere mai il successo e la popolarità. Fuori dalle logiche fuorvianti del commercio musicale. Coniugando piuttosto le canzoni con l’impegno sociale. Per questo la sua morte prematura ci rattrista ancora di più. “Musicista raffinatissimo” e “fenomeno culturale alto” scrivono di lui i critici (Gabriele Ferraris su La Stampa) ma la verità è che non ha mai smarrito le sue radici contadine e la semplicità che lo ha portato a cantare gli ultimi, soprattutto i migranti. E li ha cantati persino da quel tempio della musica che è l’Olympia di Parigi che l’ha scovato prima degli italiani. Sono ragioni almeno sufficienti per dire anche ai giovani che inseguono il successo in un Talent di rimanere se stessi e di non lasciarsi mutare geneticamente da quel mondo di luci e di tante ombre.