Ponti di memoria
Il 21 marzo, primo giorno di primavera, è la giornata ideale per ricordare le vittime innocenti delle mafie. Noi lo facciamo da ventuno anni promuovendo un incontro in una città che scegliamo come simbolo. L’abbiamo chiamata “Giornata della Memoria e dell’Impegno” e quest’anno si è svolta a Messina ma anche in tanti altri luoghi, per valorizzare tutte le realtà che hanno ritenuto importante organizzare sul proprio territorio un momento di riflessione sulle vittime innocenti della violenza mafiosa, ma anche sull’impegno che non si esaurisce in una giornata ma prosegue per gli altri 364 giorni dell’anno.
Il nome di mio padre
Ho partecipato alla prima Giornata della Memoria e dell’Impegno organizzata nel 1996 a Roma, in Piazza del Campidoglio. Mio padre era stato ucciso neanche un anno prima e partii dalla mia città pugliese non avendo idea di come sarebbero state ricordate le vittime delle mafie. Quando giunsi a Roma nella Piazza prescelta, mi ritrovai con tante persone che vivevano quel momento in modo sobrio ma non luttuoso. A un certo punto iniziarono a leggere un elenco di nomi che partiva dall’anno 1893, con un nome che non conoscevo “Emanuele Notarbartolo”, e proseguiva fino al 1996. In molti si avvicendavano a leggere quei nomi e a un certo punto sentii scandire il nome di mio padre Francesco. Provai un’emozione fortissima che a distanza di tanti anni ricordo con la stessa intensità e che aveva il sapore della gratitudine e della condivisione.
Pensare che quest’anno in tanti luoghi, quasi 2000 e perfino in alcuni luoghi di detenzione, è stato letto, alla stessa ora del 21 marzo, l’elenco delle 900 vittime innocenti delle mafie, mi fa sentire l’importanza di questa memoria che anno dopo anno rafforziamo e proteggiamo.
Emanuele Notarbartolo
Ricordiamo Emanuele Notarbartolo perché era il direttore del Banco di Sicilia, non solo un Istituto di Credito ma la cassa per operazioni politico-finanziarie di vario genere. Venne assassinato con ventisette pugnalate e il mandante fu individuato in un deputato del Parlamento, poi assolto per insufficienza di prove. Questa vicenda, che appare così lontana, ne richiama un’altra molto più attuale, quella dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, ucciso per non essersi piegato a svolgere il delicato incarico che gli era stato affidato, quello di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, in modo meno retto, più malleabile. Se scorriamo i nomi delle 900 vittime, ci rendiamo conto che ci sono storie di bambini, donne e uomini che stono stati uccisi per il semplice fatto di essersi trovati nella traiettoria di una pallottola non destinata a loro, oppure hanno fatto da scudo ad altri che dovevano morire a causa di un ordigno letale. Pensiamo a Barbara Asta, uccisa con i suoi bambini Giuseppe e Salvatore, mentre li accompagnava a scuola a Pizzolungo, dilaniati da un’autobomba predisposta per uccidere il giudice Carlo Palermo.
Il diritto al ricordo
Nel lungo elenco ci sono nomi conosciuti e nomi mai sentiti. Appartengono a persone che hanno tutte, in uguale modo, il diritto ad essere ricordate, perché è importante rifuggire da una memoria selettiva che distingue in base a criteri poco solidali il ricordo. In ogni storia è racchiusa una verità da individuare, che analizzata attentamente ci permette di conoscere la storia di quel territorio e della sua comunità. è facile capire che solo questo tipo di memoria, che accoglie e non offende la dignità delle persone, può garantire un ricordo vitale, che accompagni le tante famiglie che hanno vissuto il dolore della perdita in prima persona, ma anche chi sceglie di portare questa memoria con sé, nel suo impegno quotidiano contro il malaffare. L’impegno e la presa di coscienza sono indispensabili ovunque: in ogni luogo di lavoro, nel nostro quotidiano, può capitarci di essere chiamati a compiere scelte difficili. In quel momento non abbiamo bisogno di sentirci degli eroi solitari ma cittadini di un mondo in cui scegliere da che parte stare non può essere pericoloso.
Tutto questo mi riporta alla riflessione da cui sono partita, al racconto della Giornata della Memoria e dell’Impegno e a quanto sia giusto che cada nel giorno in cui la vita riprende a fluire dopo il gelo. Quest’anno l’abbiamo vissuta con grande intensità perché eravamo consapevoli che coinvolgere alcuni territori non era semplice e invece non solo a Messina ma anche a Napoli, Torino, Reggio Emilia, Perugia, Fano, Foggia e altre città, in tanti si sono incontrati per vivere insieme questa giornata; un’Italia in cui da Nord a Sud si è detto con forza no alle mafie e alla corruzione. Se guardiamo oggi le fotografie delle varie iniziative realizzate, salta agli occhi la presenza di moltissimi giovani e giovanissimi, che hanno preparato striscioni colorati e partecipato pieni di entusiasmo ai vari seminari organizzati per il pomeriggio del 21. A loro, oltre che alle vittime innocenti delle mafie, noi dobbiamo un impegno senza retorica, ed è a loro che abbiamo spiegato che partecipare a quella giornata non vuol dire assistere a una celebrazione. Leggere e ascoltare l’elenco delle 900 vittime innocenti delle mafie, a cui di anno in anno aggiungiamo anche vittime di altri Paesi come il Messico, l’Argentina, la Tunisia, può apparire un rituale ma ciò che conta realmente è che quella memoria resti viva attraverso un impegno concreto. Solo così li ricorderemo per ciò che la loro morte ha significato realmente per il nostro Paese e per le nostre vite. Le vite di tutti, perché le storie di quelle 900 persone appartengono a tutti noi.