Pietro Pinna testimone scomodo della nonviolenza
Come un sasso nello stagno. Questo è stato Pietro Pinna, classe 1927, che si è spento ieri nella sua casa di Firenze. Nel 1948 si rifiutò di servire la patria con le armi e fu condannato a dieci mesi di carcere dal tribunale militare di Torino. Si trattava del primo caso di obiezione di coscienza al servizio militare di cui la stampa dava notizia. Fu grazie al gesto coraggioso e nonviolento di quel ventenne di origini sarde che nel nostro Paese si diede inizio a un dibattito sull’obiezione di coscienza. Anzi, proprio nel novembre 1949 Umberto Calosso, deputato socialista che aveva seguito tutta la vicenda giudiziaria di Pinna e Igino Giordani, democristiano, presentarono la prima proposta di legge per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare. Si deve arrivare al 1972 per vedere sancito quel diritto in una legge dello Stato! Ma il merito di Pinna sta soprattutto nell’aver contribuito all’elaborazione di una teoria della lotta nonviolenta insieme ad Aldo Capitini che peraltro era stato citato come testimone in quel primo processo. Ragioni profonde che insegnano a vivere, a superare i conflitti, a rispettare l’avversario e a servire la verità. Una teoria e una pratica che, proprio la scomparsa di Pietro Pinna, rendono oggi più attuale di ieri. Per lui il sentimento del riconoscimento e della gratitudine che si deve ai testimoni scomodi che hanno contribuito a far crescere l’umanità e a farci crescere in umanità.