Tra accoglienza e rifiuto
Ágnes Heller, filosofa ungherese fra le più grandi pensatrici viventi, sopravvissuta all’olocausto (venne rinchiusa con la mamma nel ghetto di Budapest), allieva di György Lukács ed erede della cattedra di Hannah Arendt alla New School di New York, ha espresso la sua posizione sugli ultimi eventi, che vedono popoli in fuga dalle zone di guerra verso un’Europa divisa a metà tra l’accoglienza e il rifiuto.
La paura del terrorismo, ovvero la paura di morire, porta l’uomo a dimenticarsi dei valori cristiani di cui è permeata la civiltà occidentale. Ma è davvero sbagliata questa autodifesa?
I poteri europei che atteggiamento dovrebbero assumere in modo da garantire sia la sicurezza dei cittadini che l’accoglienza di popoli in pericolo? Zygmut Bauman, grande sociologo polacco e collega di Ágnes Heller, in una precedente intervista pubblicata su Mosaico di pace di febbraio, sosteneva che l’uomo di oggi ha paura di perdere il proprio stato sociale e quello delle persone a lui più vicine.
Ágnes Heller, invece, ritiene che la paura di morire per mano di attentati terroristici non sia del tutto infondata, per cui è necessario che i poteri europei attuino delle norme di controllo, senza però mettere barriere.
La speranza di una società perfetta si è affievolita a causa della mancanza di democrazie liberali. Il terrorismo non viene dalle zone di guerra. Il terrorismo è già in Europa. Ma la paura di morire ci rende ciechi di fronte alla realtà. I sopravvissuti all’Olocausto, rispettosi della Bibbia e memori della loro tragica esperienza, temono che la storia si ripeta. Probabilmente non vi è soluzione al fenomeno, ma la situazione va fronteggiata. È in gioco il futuro dell’Europa.
In un periodo in cui si susseguono le opinioni e i suggerimenti del mondo politico, abbiamo intervistato Ágnes Heller per avere il punto di vista di una donna filosofa, lei stessa vittima dell’odio e del razzismo. Nell’anno in cui si ricordano i cinquecento anni di “Utopia” di Thomas More, ancora una volta abbiamo chiesto che speranza ci sia per approdare finalmente alla società perfetta. Che ruolo ha la politica? E la religione? E l’umanità?
Ágnes Heller, ogni guerra si chiude con la promessa di pace, eppure oggi, sembra che il mondo sia in continuo conflitto. Lei crede che “l’isola felice”, che politici e istituzioni continuano a promettere, sia nella realtà inarrivabile?
Il popolo europeo ha smesso di sperare in una società perfetta, ancor meno nel progresso universale. La maggior parte delle utopie tradizionali (mi riferisco a Platone, More, Fourier) hanno perso attrattiva, non si desiderano più. L’uomo è, tuttavia, ancora alla ricerca di speranze, come quella della pace perpetua proposta da Kant, ma questo presuppone che in tutto il mondo esistano delle democrazie liberali, un qualcosa direi di quasi impossibile al momento.
Il mondo è sempre stato pericoloso e tuttora lo è, soprattutto dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando alcuni di noi hanno creduto di non aver più una posizione privilegiata nella storia umana. Sparito un pericolo ne riappare un altro. È questo il motivo principale per cui gli europei non apprezzano le utopie.
Alcuni vi guardano con cinismo, altri, invece, si impegnano come meglio possono in un miglioramento del presente, limitando, ad esempio, le zone di guerra, cacciando via il terrorismo (anche se credo che questo non potrà mai essere completamente eliminato) e diminuendo l’abisso tra la qualità della vita globale e quella all’interno dei singoli Stati.
Siamo divisi tra la volontà di accogliere i popoli in fuga dalla guerra e il timore che il terrorismo si nasconda tra di loro. Lei crede che la paura di morire abbia cancellato i valori di amore e solidarietà? Gli europei sono in gran parte cristiani. Ma come hanno potuto dimenticare il principio cardine del cristianesimo dell’ama il prossimo tuo come te stesso?
Io non penso vi sia una relazione tra gli attentati di Parigi e Bruxelles e l’afflusso dei rifugiati. Dopotutto, i terroristi erano cittadini europei. Bisognerebbe condurre un’analisi sociologica e psicologica per capire come mai la seconda generazione di arabi musulmani in Europa si sia stanziata in gran numero soprattutto in certi stati.
Ma non tutti sono sociologi o psicologi e, pur condividendo il mio punto di vista, hanno comunque paura dei migranti. Hanno paura, come essi stessi affermano, che i loro figli e nipoti possano essere vittime degli attentati terroristici. Questa reazione irrazionale è eccessiva, ma non priva di fondamento.
La paura è cattiva consigliera se annulla i valori di solidarietà ed empatia. Quando si tratta di aiutare e accogliere i rifugiati di guerra, popoli la cui vita è in pericolo, uomini che hanno perso le loro case e lottano per la sopravvivenza, allora solo una è la risposta morale: lasciamoli entrare!
Ma questo non significa che a tutti debba essere concesso di entrare. Qui non si tratta di essere solidali o empatici, ma piuttosto di essere razionali e realistici.
I pochi sopravvissuti all’Olocausto e i loro figli sono motivati da tre lezioni, o esperienze di vita. Innanzitutto, rispettano i Testi Sacri che obbligano ad aiutare lo straniero che vive con noi. Poi, aver vissuto negli anni Trenta e Quaranta in un mondo ostile e chiuso, che mai li ha accolti. E probabilmente oltre un milione di loro è stato ucciso proprio per questo. E infine la paura che il terrore stia ritornando in Europa. La paura che tutto si ripeta, in altra forma e colore.
Nel 1882 Nietzsche ha annunciato: “Dio è morto”, ucciso dalla società occidentale. E anche la stessa società occidentale è morta. Per Dio egli intendeva tutti i valori e le certezze morali, su cui era basata la civiltà. Questo è stato affermato prima dell’Olocausto e di tutte le tragedie umane accadute negli ultimi due secoli. Lei pensa che si peggiori di giorno in giorno e che, ormai in tutto il mondo, la civiltà stia crollando sotto le sue stesse azioni nefande? Crede che sia ancora possibile l’arrivo di un Oltreuomo che guidi l’umanità verso l’Utopia?
La “morte di Dio” non significa che la gente non andrà più in Chiesa. Nietzsche intendeva dire che Dio non sarà più l’autorità suprema, il giudice massimo, e di conseguenza gli uomini non riusciranno più a distinguere il bene dal male. Siamo giunti al punto che modernità e religione non si contraddicono, tanto meno vita religiosa e neutralità di uno stato (e l’America ne è un esempio).
Tuttavia, mi verrebbe da dire che l’Europa, questo continente di Stati-Nazione, sia stata ri-paganizzata. Voglio dire che da noi l’autorità suprema è diventata “la nazione” e la religione è diventata il “nazionalismo”.
Gli europei hanno scoperto universalismo e nazionalismo contemporaneamente. Tali rivelazioni, al momento, stanno cozzando tra loro, e lo scontro di opinioni e sentimenti circa la questione dei rifugiati spiega questo conflitto irrisolto, e probabilmente irrisolvibile. Ma pur senza una soluzione, la situazione va fronteggiata. Vi è in gioco il futuro dell’Europa e dell’Unione Europea.