Generativi si nasce

Tra misericordia e tenerezza, maternità e relazionalità: cosa vuol dire oggi essere generativi? In una società liquida, come lasciarci abitare da silenzio e parola?
Come far convivere incontro e assenze?
Patrizia Morgante (Circolo DonneMujeresWomen)

 

“Ogni relazione profonda è generativa, perché ci fa essere quello che altrimenti non saremmo stati” (Mauro Magatti-Chiara Giaccardi).

 

Fecondità, fertilità, relazionalità, viscere, grembo, femminilità, maternità, tenerezza e, oggi, anche misericordia…: sono parole che stanno accompagnando il mio cammino interiore già da qualche anno; probabilmente in coincidenza con la serena consapevolezza che non sarei stata una madre biologica. Oppure con la scoperta profonda che la maternità può essere uno stile di vita, oltre il mero parto biologico (che rimane un dono sacro e misterioso), uno stile che può essere un modo fecondo di abitare la storia, lasciandovi una nostra traccia. 

Generatività

Non ci è concesso lasciare il mondo così com’è. Eppure proprio in questa afasia, nel dolore della fine, nello squarcio è attuabile un’opera di rigenerazione profonda dell’immaginario, una ri-significazione, una nuova costruzione di senso. Solo nel vuoto è possibile generare ancora e si può essere di nuovo liberi. In questa condizione si ha la concreta opportunità di invertire la rotta, di riprogettare modelli alternativi di socialità, di economia, di politica, sgombrando il campo dalle macerie, utili per capire come e dove si è aperta la crepa. La prima operazione da compiere è riprendersi il tempo, rallentare il ritmo, mollare la presa, accettare il necessario cambio di passo per ripartire.

Antonella Fucecchi (Rivista CEM Mondialità, giugno-luglio 2015 Liberare l’Umano. Chi non si rigenera degenera)

L’incontro “fortuito” con il libro di Magatti e Giaccardi, che riportava in copertina la parola generatività, la notizia che il Centro di Educazione alla Mondialità (CEM) lo scegliesse come tema dell’anno, hanno toccato in me la consapevolezza che questa parola potesse sintetizzare tutte le mie parole chiave, e avesse a che vedere col femminile e col maschile, e non solo col grembo fisico delle donne. 

Sentivo che aveva da dirci qualcosa d’importante per guidarci, per orientarci come umanità dentro la liquidità e la fluidità che sembrano caratterizzare il nostro tempo. La generatività può offrirci una nuova narrazione dello stare insieme in questa casa comune, una rilettura in chiave creativa della liquidità stessa. Sentivo chiaramente che in lei avrei trovato qualcosa che poteva aiutarmi ad argomentare ciò che sentivo chiaramente nelle mie viscere: non tutto è perduto, l’umanità saprà sentire la brace sotto la cenere. 

Da qui nasce questo dossier, come spazio di ricerca generativa comune: ho condiviso la mia inquietudine con altre donne e loro hanno decodificato col loro linguaggio la generatività. Ne è nata una riflessione che si dipana nei successivi articoli sul silenzio, la parola abitata, la memoria, la spiritualità, l’ecologia olistica.

Entrare dentro la mia generatività ha richiesto il passare per una rilettura dell’esperienza di essere figlia di una madre specifica. Una madre, la mia, che al solo pensarci sentivo le viscere contrarsi per la rabbia e il dolore: ma come essere generativa come donna, senza passare per lo sciogliere questo nodo/conflitto che blocca tanta bella energia? Come non passare per il perdono mio e suo e il riconciliare di questa ferita dentro il flusso della vita? Come non accettare che mia madre è solo una donna e una persona umana?

“Il suo desiderio si muove in un’altra direzione rispetto a quello del figlio che la vorrebbe tutta per sé…” (Massimo Recalcati, Le mani della madre, Feltrinelli, pag. 55); “… la dimensione delle cure non può mai appagare l’esigenza di essere riconosciuto come soggetto che si esprime nella domanda d’amore” (idibem, pag. 51). 

Per approfondire

Qualche fonte che mi ha ispirato… oltre alla vita quotidiana, che rimane un luogo inesauribile di sapienza e dolore.

Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, Generativi di tutto il mondo unitevi, Feltrinelli

Emma Martínez Ocaña, Te llevo en mis entrañas dibujada (Ti porto come disegnata nelle mie viscere), Narcea

Emma Martínez Ocaña, Cuando la Palabra se hace cuerpo… en cuerpo de mujer (Quando la Parola si fa corpo, corpo di donna), Narcea

MassimoRecalcati, Le mani della madre, Feltrinelli

Rivista CEM Mondialità, giugno-luglio 2015, Liberare l’Umano. Chi non si rigenera degenera,

www.generativita.it

E poi la mia generatività è dovuta passare anche per uno strappo: la perdita di una vita che nasceva dentro di me; una separazione dolorosa che lascia un vuoto: come fare i conti con questo vuoto e sentirlo ancora fecondo e generativo? Come entrare nel mistero che dal vuoto può nascere la vita? 

“Ogni taglio crea uno spazio vuoto, una faglia in qualcosa che era completo. Lo spazio vuoto crea la possibilità dell’incontro. La condizione dell’incontro è l’incontro dell’alterità e la condizione dell’alterità è lo spazio. Non c’è alleanza senza alterità e senza spazio vuoto” (Donne Chiesa Mondo, Supplementodell’Osservatore Romano, aprile 2016, DelphineHorviller, rabbino del Movimentoebraicoliberale di Francia). 

Non potrei raccontarmi, se per me non fosse accaduta questa trasformazione. Questo spazio rimasto vuoto è diventato generativo di un modo di stare nel mondo e con il mondo, che è solo mio: un mondo che si può capire solo a partire da queste due premesse e con una sua evoluzione indipendente ancora in atto e di cui sono infinitamente grata…

“La fecondità cercata e desiderata, non è mai (o non dovrebbe esserlo) frutto del dolore o della sofferenza ma dell’amore, anche se questo passa per i ‘dolori del parto’. La gestazione negli esseri umani dovrebbe essere il frutto dell’amore, anche se disgraziatamente non sempre è così. E il parto è il momento del fare spazio perché la creatura concepita possa uscire, possa venire alla luce, possa acquisire autonomia. Il tempo della fecondazione e della gestazione non è soprattutto un tempo di dolore, ma di paziente attesa vincolata all’amore” (Emma Martínez Ocaña, Te llevo en mis entrañas dibujada - Ti porto come impressa nelle mie viscere, Narcea, pag. 94).

Il vuoto 

Il vuoto, le assenze, le ferite ci abitano accanto a tanta bellezza: quale prevale in noi? Quale lasciamo emergere di più? Quale ascoltiamo di più? Di quale ci prendiamo più cura? Quale nasconde i nostri desideri profondi? Forse qualcuna o qualcuno di voi può sentire degli echi da questa storia personale. Tutte e tutti abbiamo ferite e vuoti che rischiano di diventare assenze che bloccano la nostra generatività: uomini e donne, madri e padri, suore e preti… Spesso vediamo sorgere la vita nei luoghi e nei momenti più impensati, la forza della vita che ha sempre desiderio di generare altra vita: si fa spazio tra la macerie, tra le ceneri spente, tra gli interstizi di morte che abitano dentro e fuori di noi, ma non prevalgono per sempre.

Il vuoto non è assenza di vita, è possibilità infinita di vita. Essere generativi ci mette in contatto con il vuoto e il silenzio cosmico che ha saputo generare vita. La vita è movimento, non è mai staticità anche quando ci sembra sia ferma. Ho sperimentato che è generativo tutto ciò che favorisce e nutre la vita; se siamo generativi scegliamo di entrare in questo flusso imprevedibile. È “fare anima” per recuperare il senso delle cose, riconoscere lo spirito che abita la vita. La generatività è relazionale, non si può essere generativi senza questa consapevolezza di essere parte di un tutto più ampio, che tutto non finisce con me. La generatività ci pone in relatività e a contatto con ciò che non si vede, perché non si può controllare tutto.

“Generare è per eccellenza il modo dell’essere che non sta chiuso in sé, ma si riconosce in relazione, aperto verso gli altri e alla vita. Ed è anche, per eccellenza, il modo dell’agire: far essere qualcosa che prima non c’era”(Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, “Generativi di tutto il mondo unitevi”, Feltrinelli, pag. 61). Aggiungo io: far essere qualcosa che prima non c’era che solo io posso fare. Nel generare c’è una specificità che ha il nostro nome: questo è ciò che chiamiamo responsabilità. Spesso la decliniamo come un peso da portare, un lavoro da svolgere; a me piace sentirla come la risposta all’altro e al mondo che solo io posso dare, la mia parola che può essere solo così, la traccia nel mondo che porta il mio nome, quel qualcosa che mi rende unica. La responsabilità vissuta in chiave generativa è anche la via per la nostra felicità profonda. 

Il desiderio

Magatti e Giaccardi nel loro libro, tra le altre belle intuizioni, ci offrono quattro movimenti (verbi) della generatività: desiderare, partorire-mettere al mondo, prendersi cura, lasciare andare. Questi movimenti assumono senso nella loro circolarità, si completano mutuamente; come se non potessero esistere pienamente separati, esprimono una completezza dal dentro al fuori che definisce l’umano. Io ritengo che la persona non può che essere generativa, non può non sentire il desiderio di dare vita, prendersene cura e… lasciare andare. Forse quest’ultimo movimento è quello che ci costa di più. Separarsi rimanendo integri, ma non impermeabili. Non trattenere; non chiudere in confini ciò che ha bisogno di spiegare le ali.

Ritorniamo al primo movimento: il desiderio. È una delle parole più maltrattate e poco comprese. Sembra che viviamo nell’era del fare ciò che desideriamo, avendo tante opzioni a nostra disposizione, ma questo spesso corrisponde a un benessere solo momentaneo e superficiale che ci lascia affamati di qualcosa che non sappiamo nominare. In realtà, non siamo allenati ad ascoltare i nostri desideri profondi, che ci dicono chi siamo veramente.

“Etimologicamente, desiderare ha due significati opposti e ugualmente legittimi: se si considera il de come ‘intensivo’, il senso è ‘fissare attentamente le stelle’, lasciarci attrarre. Se invece si intende il de come allontanamento, il senso diventa ‘distogliere gli occhi dalle stelle’: quando le stelle non forniscono auspici che ci paiono buoni, tendiamo a guardare altrove”(idem pag. 63).

Mi piace pensare che nel desiderio che ci abita risieda il compito che possiamo svolgere su questa terra e quindi lì giace anche il nostro appagamento profondo. Il desiderio ci serve come orientamento per non allontanarci dalla meta, rimanendo sempre in ascolto. Quando distogliamo lo sguardo è perché, forse, seguire il desiderio è anche impegnativo, è accettare un’autonomia e maturità che non fa sconti. Il desiderare implica la pazienza dell’attesa che il germoglio fiorisca. Il desiderio non è un movimento egotico, è relazione con l’altro, nasce dalla connessione con l’altro il mio desiderio e con lui si trasforma in esperienza. Mettere in gioco il proprio desiderio e lasciarsi toccare dal desiderio dell’altro è entrare nella meravigliosa danza della reciprocità. 

Dare alla luce

Partorire, dare alla luce, mettere al mondo è il secondo movimento del generare. Forse quello che più lo definisce. Generiamo perché siamo stati generati e, generando, accettiamo di entrare nella circolarità della vita: ma l’origine è oltre noi. Non è solo questione di fede religiosa, ma è accettare che la vita è anche mistero. C’è un tempo per dare alla luce: quando la “creatura” è matura e può maturare al di fuori di noi. Questa sensazione del tempo giusto è un’esperienza che tutti abbiamo fatto: quando abbiamo avuto fretta di dare alla luce un progetto, un sogno, un cambiamento, il più delle volte siamo rimasti delusi.

Generare e contribuire perché altri generino, diano alla luce (maieutica). “Generativo è dunque chi decide di mettere al mondo un valore e, in questo modo, introduce nel mondo una differenza”(Idem pag. 48). Prendersi cura, sapendo che è necessario, per il bene dell’altro (e il nostro), poi lasciarlo andare. Accompagnare, perché la vita fiorisca. Nel consumo divoriamo, possediamo, controlliamo. Nel prendersi cura si allena la sensibilità a percepire quelle correnti dello spirito che sussurrano nel flusso della vita.

Enzo Bianchi diagnostica una mancanza di fede nella nostra società: non la fede in un Dio, ma la capacità di credere in ciò che non si vede; siamo analfabeti di fiducia. Con questo dossier vorremmo poter dare un nostro piccolo contributo per nutrire la fiducia in noi, negli altri, nella vita.

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