Morti notiziabili
Non so se si tratti soltanto del proverbiale provincialismo giornalistico italiano oppure si deve cominciare a parlare di vero e proprio razzismo della stampa che giudica e discrimina il peso specifico dei morti ammazzati a seconda della distanza dai nostri confini, degli interessi economici in gioco e del colore della pelle delle vittime. Sta di fatto che le centinaia di morti di un conflitto assurdo e crudele come quello in corso in Sud Sudan riescono a meritarsi solo poche righe sulla stampa nostrana. La scarsità di informazione non riesce nemmeno a definire a tutt’oggi il numero preciso delle vittime che varia da duecento a cinquecento quasi potesse essere il risultato di un computo approssimativo. In realtà si tratta di esseri umani, di vite umane, di persone in carne e ossa. C’è una dignità che prescinde da ogni altra condizione! E l’informazione ha una sua responsabilità precisa perché la comunità internazionale così come l’opinione pubblica, si mobilita anche a seguito del rilievo che l’informazione ritiene di offrire. Ad esempio non mi pare ci siano inviati delle testate italiane in quella zona di guerra e tanto meno corrispondenti. Forse anche sul piano della deontologia del mestiere del giornalista è quanto mai necessario - se non urgente - rivedere il concetto di “notiziabilità”. Con quale coscienza professionale e umana si può decidere che centinaia di morti non sono “notiziabili”?