Islamizzazione del radicalismo
Siamo decisamente entrati nella fase più difficile e cruenta del contrasto al terrorismo. Colpisce praticamente a caso, si serve della fragilità e del disagio dei più giovani, coinvolge persone molto diverse tra loro, non sempre discrimina gli obiettivi, usa una pentola a pressione, un’ascia o un coltello e, meno frequentemente, esplosivo e armi. Gli stessi sociologi, criminologi e psicologi fanno fatica a tracciare un identikit dell’attentatore e ancora meno riescono a giocare d’anticipo quelli dell’intelligence e della polizia. Tutti con armi spuntate. Unica costante è il riferimento alla rete telematica da cui attingono il fumo della forza ideologica e le minime istruzioni militari necessarie alla brutalità delle loro perversioni. Si tratta del Deep web, della rete clandestina cui è facilissimo accedere scaricando un programma per immergersi in un anonimato totale che fa accedere all’acquisto di armi e droga, alla diffusione dei peggiori fanatismi, alla pedopornografia e a tanto altro ancora. Gli esperti dicono che questa rete oscura è grande fino a 500 volte quella che conosciamo. In questo quadro appare chiaro che non esista tanto la radicalizzazione dell’Islam quanto l’islamizzazione del radicalismo, ovvero del disagio e della fragilità (Olivier Roy). C’è una fragilità diffusa che oggi trova nelle forme farneticanti che si riferiscono al Corano una bandiera che apparentemente li nobilita. Per queste ragioni l’unica possibilità che abbiamo di disinnescare questa violenza tanto orribile quanto diffusa è di andare incontro al disagio dei soggetti più deboli. Forse non ci preserverà dal prossimo attentato ma è sicuramente un investimento nel futuro.