Quando si dice armi
Mentre il popolo della pace marciava tra Perugia e Assisi, il ministro della difesa, tornata da una visita istituzionale in Arabia Saudita (4 ottobre – San Francesco), minacciava querele contro chi semplicemente chiedeva di conoscere i contenuti dei colloqui e, soprattutto, degli accordi siglati in materia di trasferimento di sistemi d’arma. Due giorni prima la stessa ministro aveva aperto una conferenza sul diritto internazionale umanitario e il ministro degli esteri esprimeva la propria condanna per il bombardamento dell’aviazione saudita che ha ucciso 155 persone che partecipavano a un funerale nella capitale di quel Paese. Il tutto mentre solo due giorni prima la Procura di Brescia apriva un fascicolo per indagare sui carichi di bombe partiti da un’industria armiera (RWM) sita in Sardegna (Domusnovas) molto probabilmente proprio con destinazione Arabia Saudita. Mi pare che vi siano ragioni più che sufficienti per continuare a marciare, a farsi sentire, a vigilare su chi ci rappresenta e a denunciare le complicità internazionali che avvengono sotto la spinta delle industrie di armi. Basta parole generiche contro la produzione, commercio e traffico di armi che sostengono (o causano?) i conflitti traendone profitti stellari. Anche le parole di condanna di Papa Francesco devono essere tradotte e applicate concretamente nei diversi contesti, altrimenti vengono svuotate della loro forza propulsiva.