L’inferno in una traversata
Lo abbiamo incontrato a Lampedusa, proprio sulle coste di questo mare, splendido e tiranno nello stesso tempo, che vede arrivare tanta gente e ne vede morire altrettanta. Abbiamo rivolto alcune domande al dott. Bartolo, nello studio dove salva tante vite umane.
Nella sua quotidianità, in che modo incrocia i migranti che giungono sulle nostre coste?
Li incontriamo al famoso molo Favoloro. La banchina dove arrivano da 25 anni tutti i migranti che giungono dall’altra parte del Mediterraneo. C’è una specie di convenzione tra noi Asl e le varie forze dell’ordine che operano in quest’ambito. Quando arriva un gommone, ci avvisano, indicandoci il numero approssimativo dei migranti che sono a bordo in modo da permetterci di prepararci e di reperire personale medico che ci aiuti. Andiamo in banchina e li aspettiamo. La prima cosa che salta agli occhi appena arrivano è che sono quasi tutti ragazzi, giovani, molto sofferenti, tante sono donne e tutti hanno lo sguardo spaventato. Sono persone che hanno alle spalle esperienze dure, direi crudeli. Durante il tragitto dal loro Paese, dal luogo in cui riescono a imbarcarsi sino alle nostre coste, hanno vissuto esperienze inimmaginabili, indicibili. La maggior parte proviene dalla costa subsahariana, sono nigeriani, somali, eritrei… Durante il loro tragitto spesso vengono seviziati, torturati, venduti, derubati, le donne tutte violentate. I loro racconti sono incredibili. In Libia, vengono rinchiusi in specie di carceri, poi venduti e utilizzati come schiavi. La media della loro permanenza varia da 6 mesi a 2 anni e in questo tempo “vuoto” vivono un vero inferno. In Libia, tutti i neri vengono considerati animali e trattati come tali. Anzi, talora noi trattiamo gli animali meglio di come sono trattati loro. Quando riescono a liberarsi da questa prigionia e a raccogliere tutto il denaro necessario per potersi imbarcare, intraprendono il loro viaggio. Partono su gommoni fatiscenti, con un motore piccolissimo a benzina, con un’unica camera: quindi affondano facilmente. Paradossalmente, da quando l’Italia prima, e adesso anche Frontex, va a salvarli in mare, sono aumentati i naufragi. E anche i morti. È come se avessimo fatto un favore ai trafficanti, perché ora non acquistano più barche in grado di arrivare autonomamente sino alla nostra costa. Prima, per arrivare dalla Libia a Lampedusa, dovevano essere necessariamente barche importanti, in grado di garantire anche il passaggio degli scafisti che erano a bordo. Ora, da quando noi arriviamo sino alla costa libica, i trafficanti hanno fatto bingo perché non acquistano più barche serie, ma utilizzano questa specie di gommoni, barchette da quattro soldi che affondano subito. Peraltro, con questo mezzi di trasporto, è emersa una nuova patologia che io ho definito “patologia dei gommoni”: ustioni gravissime, che colpiscono prevalentemente le donne perché, quando si imbarcano, gli uomini si siedono sul tubolare e le donne, quasi a volerle proteggere, vengono fatte sedere per terra, spesso con i bambini in braccio. Quindi, sono le donne che prendono su di sé una miscela composta da acqua di mare e benzina; i vestiti si inzuppano e determinano lesioni gravissime, ustioni vere e proprie che interessano quasi tutto il corpo e che spesso si rivelano mortali. Recentemente ho visto morire una mamma e la sua bambina per questo motivo. In pochi superstiti sopravvivono a questa prima fase di esodo.
È un documentario del 2016, premiato nello stesso anno con l’Orso d’oro per il miglior film al Festival di Berlino, che ha per oggetto l’isola di Lampedusa e gli sbarchi di migranti che la interessano.
Regista: Gianfranco Rosi
Scritto da: Carla Cattani
Cast: Samuele Pucillo, Samuele Caruana, Giuseppe Fragapane,
Case di produzione: Rai Cinema, Istituto Luce, Les Films d’Ici, Arte France Cinema, Stemal Entertainment, 21Uno Film
E per quelli che ce la fanno, come prosegue la tragica avventura?
Reduci da tutto quello che hanno visto e vissuto, quelli che ce la fanno e che arrivano vivi a Lampedusa, sono persone particolarmente provate, spaventate, soprattutto a livello psicologico. Sono persone tutto sommato sane, anche perché chi affronta un viaggio di circa 12.000 chilometri in quelle condizioni o è sano o non ce la fa. Non hanno grandi malattie tali da far preoccupare. Capitano al massimo casi di scabbia dovuta alle condizioni igienico-sanitarie in cui hanno trascorso i giorni precedenti all’arrivo.
Rispetto all’esperienza del film “Fuocoammare” quanto c’è di vero e quanto di finzione registica?
Solo verità. Tutta realtà, nessuna scena è stata fatta più volte né è inventata. Tutto ciò che si vede accade veramente. Del resto “Fuocommare” è più un documentario che un film. Si affiancano due vite parallele: la vita vista con gli occhi di un bambino, Samuele, quella che scorre serena sull’Isola nella sua quotidianità, e quella che attraversa il dramma dell’immigrazione. E poi ci sono io che sono la cerniera tra le due situazioni. Le scene che mi ritraggono, le hanno girate mentre lavoravo regolarmente, niente di rifatto, tutto aperto. Quando ho visto il film, per la prima volta a Berlino, mi sono emozionato tanto. L’ho visto da spettatore. Ho anche pianto, di fronte ad alcune scene proprio perché erano riprese in diretta. Era un film in diretta. Per esempio, mi ha emozionato la scena in cui si sente una telefonata con persone che chiedevano aiuto. Poi la telefonata si interrompe. Noi siamo poi andati a prendere i morti. Non c’è nulla di inventato. I morti quella volta c’erano. E li abbiamo raccolti. Certo, il regista è stato bravo perché è riuscito a trasmettere un messaggio molto forte anche se non sono riprese scene cruente. Malgrado questo, il messaggio di umanità che si cela dentro i gommoni è passato. Il dramma di questa gente si vede. Non è cambiato molto ma almeno se ne parla in tutto il mondo, e anche grazie al film.
Secondo lei, i profughi, i migranti che arrivano nell’isola, come sono accolti dalla gente? La fratellanza evocata da papa Francesco la si ravvisa nella vita quotidiana di Lampedusa?
I lampedusani sono molto accoglienti. Sono famosi per questo. Spesso mi chiedono come mai i lampedusani non protestano per l’arrivo di tanti migranti e io rispondo, sempre, ricordando che i lampedusani sono un popolo di pescatori, che viene dal mare e tutto ciò che proviene dal mare è benvenuto. Questo è nel dna di chi vive sul mare, è nel sangue dei pescatori. Ed è la caratteristica dei lampedusani, anche in questa circostanza.
Una storia, un ricordo, un volto che ha segnato un punto fermo, un segno memorabile.
Ci sono state centinaia di incontri importanti che mi hanno segnato. Vi potrei citare la storia di una ragazza che, nel 2013, era data da tutti per morta e poi è sopravvissuta. Quando sono salito sulla barca, la stavano già mettendo nel sacco dei Vigili del Fuoco e io, come faccio sempre, ho preso il polso della ragazza, per precauzione, prima di chiuderla. Aveva ancora un fievolissimo battito. C’era ancora una piccolissima speranza di vita e insieme ai collaboratori presenti e al comandante, Raffaele, l’abbiamo fatta scendere a terra, rianimata e, finalmente il battito è ripreso regolarmente. Una giovane ragazza, annegata, data per morta, dimessa poi dopo un mese di rianimazione e degenza in ospedale e che ora è viva. Quel giorno, in ottobre, una vita è stata salvata. Poco, certo, rispetto alle tante che perdiamo in mare. Ma una vita è stata salvata.
Una denuncia che sente più forte da avanzare rispetto al sistema di accoglienza in generale in Italia…
L’Italia mette a disposizione ciò che può. Siamo l’unico Paese – insieme alla Grecia sino a poco fa, prima degli accordi con la Turchia – che ha sempre provato ad accogliere i migranti. Certamente, si potrebbe fare di più e, a livello legislativo, andrebbe cambiato qualcosa ma bisogna anche dire che l’Italia sta provando ad accogliere tanti migranti. Forse si dovrebbero accelerare i tempi per giungere alla concessione di status di rifugiato ad esempio ai siriani… La lungaggine dei tempi non è un vantaggio per queste persone. Si dovrebbero evitare tutti questi morti vicini alle nostre coste, se serve a salvare vite umane, anche andando a prendere i migranti dal loro luogo di partenza… Si potrebbe fare in modo da garantire una vita dignitosa, senza guerre, ovunque, in modo da evitare le migrazioni forzate.
Sia Mare Nostrum che Frontex vanno, di fatto, a vantaggio dei trafficanti, ma è chiaro che mirano a salvare persone. L’unica nota stonata è che poi non segue un’equa distribuzione dei migranti in tutta l’Europa, cosa che sarebbe doverosa.
Cosa rimarrà nei bambini che hanno affrontato un viaggio in un barcone?
Sono tutti giovani e quasi nessun anziano. Sono tutti vittime di grandi soprusi e i segni di queste sofferenze lasceranno in loro, sicuramente, segni indelebili, per tutta la vita. Come si fa a dimenticare le violenze subite?