PENSIERO

Semi e storie di liberazione

Nonviolenza e politica vivono solo insieme.
Breve viaggio tra testimoni e storie possibili: dall’amore politico all’abnegazione per il popolo oppresso.
Roberto Mancini (Filosofo e scrittore – www.manciniroberto.it)

Nell’opinione comune la politica come prassi di conflitto senza esclusione di colpi è la regola, la nonviolenza è l’eccezione , niente più che una sterile “testimonianza”. Quando un politico usa questa parola, lo fa con disprezzo, intendendo una cosa inutile. A volte, però, anche tra i simpatizzanti della nonviolenza si afferma un disprezzo rovesciato, stavolta nei confronti della politica, come se la nonviolenza fosse una scelta così superiore e intimamente personale da non avere nulla a che fare con lo spazio pubblico e con le istituzioni.

A fronte di un simile duplice pregiudizio, commemorare qualche figura di martire della nonviolenza che ha avuto un ruolo politico equivarrebbe a non scalfire questo luogo comune. Qui vorrei mostrare, invece, che nonviolenza e politica vivono insieme. E ciò non solo nell’azione preziosa di alcuni singoli, ma anche in quella delle comunità più consapevoli.

Omnicrazia

Finora è prevalsa la politica del potere, è vero. Ciò non toglie che sia storicamente emersa anche la politica umanizzata, quella della democrazia intera o della omnicrazia, come la chiama Aldo Capitini. Essa scaturisce dall’amore come forza fondamentale della vita e dalla sua capacità di generare forme di comunione in grado di trovare traduzione su scala collettiva e istituzionale. Non si tratta di un genere particolare e al limite della normale politica; invece, bisogna finalmente comprendere che la nonviolenza è politica e che, al tempo stesso, la politica nasce dalla nonviolenza

Mohandas Gandhi – e con lui tutte le guide che hanno illuminato questa via – ha mostrato che la scelta dell’ahimsa non è mai un fatto privato, ma è fonte di una trasformazione che ha portata comunitaria, sociale e istituzionale. Da parte sua Hannah Arendt ha sostenuto che, nello spazio pubblico democratico, la violenza non ha cittadinanza e vige la legge del dialogo. Dunque, finché si agisce con spirito e mezzi di sopraffazione, non c’è propriamente la politica, ma la logica di guerra e di dominio. Solo quando l’amore si fa strada lungo la via che porta a costruire con giustizia la convivenza di tutti, lì nasce la politica.

Una volta chiarito il legame essenziale tra politica e nonviolenza, vorrei richiamare alcune storie esemplari, rispettivamente di persone e comunità che hanno saputo dare forma politica alla loro vita. Non sono affatto testimonianze isolate, sono tappe nel processo di emersione collettiva della forza dell’amore politico nella sua capacità di trasformare la società. Comincio da tre persone che hanno saputo esprimere politicamente la coscienza etica nella forma più elevata che stava maturando nei loro popoli: Aldo Moro (1916-1978), Marianella García Villas (1944 - 1983) e Olof Palme (1927-1986). Senza dubbio, bisognerebbe ricordare molti altri. Qui mi limito a richiamare la loro storia non tanto perché tutti e tre sono stati assassinati come martiri del bene comune, quanto perché si tratta di persone che hanno fatto un loro percorso di maturazione radicale giungendo a rendere visibile l’intera ampiezza del servizio politico alla dignità umana, che è rivolto sia ai vivi che ai morti. 

Aldo Moro 

Pur avendo conosciuto dall’interno le contraddizioni della politica plasmata dalla logica del potere, Aldo Moro è riuscito a far valere un’idea etica della politica, promuovendo in prima persona la riconciliazione tra il mondo cattolico e mondo comunista nell’Italia degli anni Settanta, riconciliazione che doveva svolgersi mediante un’alleanza tra i partiti che erano espressione di quelle culture. Dalle sue lettere durante il sequestro a opera delle Brigate Rosse, emerge una coscienza resa eticamente e spiritualmente ancora più lucida dall’esigenza vitale di fare fronte con dignità profetica alla violenza omicida che incombeva su di lui. In quelle lettere egli scrive chiaramente che la politica non ha mai il diritto di fare vittime. Ai molti che allora erano disposti a sacrificarlo per amore del potere e in nome della ragion di Stato, Moro annuncia che la sua morte imminente resterà un segno indelebile. Un segno che indica la via di una politica del tutto diversa: “Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa” (lettera del 24 aprile 1978, in A. Moro, Ultimi scritti: 16 marzo - 9 maggio 1978, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1998, p. 31).

Marianella García Villas

La seconda storia è quella di Marianella García Villas. Nata in una famiglia benestante e di religiosità tradizionale, sceglie di fare politica per realizzare i suoi ideali evangelici. Nel dare seguito a questa scelta si trova a sperimentare una trasformazione completa della propria vita sotto la sollecitazione della quotidiana visione della povertà e della sofferenza causate dall’iniquità dei potenti del Salvador e dei loro sicari. Per lei la soglia d’ingresso nella vita nuova dell’azione nonviolenta è la scoperta della condizione degli umiliati e la condivisione con le vittime. Perciò, Marianella sceglie di agire politicamente dal fondo della società, cosa che includeva anche il prendersi cura delle spoglie degli assassinati. La politica per lei non è potere, è cura del bene comune e della giustizia, che si traduce nella cura per le persone anche lì dove la persona umana sembra ormai niente più che un cadavere oltraggiato e disfatto. Da questa esperienza Marianella comprende che la politica autentica può sorgere solo dalla solidarietà attiva tra i movimenti che, ovunque nel mondo, interpretano fedelmente la dignità dei popoli. Sequestrata dagli squadroni della morte, stuprata, torturata e assassinata il 14 marzo 1983, Marianella diventa per il suo popolo un simbolo attrattivo, che spinge molti altri a praticare l’amore politico nonviolento. 

SCAFFALI

Roberto Mancini è professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università di Macerata e docente di Culture della sostenibilità ed Etica pubblica e culture dell’economia presso l’Accademia di Architettura dell’Università della Svizzera Italiana a Mendrisio.

È stato membro del Direttivo dell’Università per la Pace delle Marche. 

Ha scritto diversi libri tra cui suggeriamo:

Il senso della misericordia, Romena, Edizioni della Fraternità di Romena, 2016

La nonviolenza della fede. Umanità del cristianesimo e misericordia di Dio, Brescia, Queriniana, 2015

S come solidarietà, Assisi, Cittadella editrice, 2013

Dalla disperazione alla misericordia. Uscire insieme dalla crisi, Bologna, Edizioni Dehoniane, 2012

Per un’altra politica. Scegliere il bene comune, Assisi, Cittadella editrice, 2010

L’amore politico. Sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e Levinas, Assisi, Cittadella editrice, 2005

Esistenza e gratuità. Antropologia della condivisione, Assisi, Cittadella, 1996 (IIa ed. 2009), tr. portoghese di C.B. Dalla Costa, Existencia e gratuidade. Antropologia da partilha, Sao Paulo, Paulinas, 2000

Olof Palme

La terza storia esemplare è quella di Olof Palme, che fin da giovane sceglie di dedicarsi alla politica con la finalità di contribuire allo sviluppo della democrazia intesa non solo come procedura elettorale, ma come forma di convivenza nella quale la dignità e i diritti umani sono sistematicamente attuati. Per lui un’opera simile riguarda il mondo, non solo il suo Paese, la Svezia. Perciò include la lotta contro la guerra in Vietnam, contro l’apartheid in Sudafrica e contro la corsa al riarmo nucleare tra le sue priorità politiche. Lavora coraggiosamente sia per riconciliare mondo occidentale e mondo comunista, Israele e Paesi Arabi, Iran e Iraq, sia per la piena realizzazione dell’unità dell’Europa, sia per la creazione di un’economia democratica capace di superare il capitalismo. Da dirigente del partito socialdemocratico e da Primo Ministro dedica tutte le sue energie a questi obiettivi, divenendo un bersaglio odiato per tutti quei poteri occulti che, in Europa e nel mondo, sono determinati a distruggere la democrazia. Infatti, viene assassinato a Stoccolma il 28 febbraio 1986, in uno di quei classici delitti dei quali, poi, non si riesce a chiarire chi siano gli esecutori e i mandanti, cosa in buona parte vera anche per l’assassinio di Aldo e di Marianella. 

Comunità civili creative 

Queste tre storie sembrerebbero atti diversi di una stessa tragedia: i giusti uccisi, i colpevoli ignoti e impuniti, la società violentata dalla prepotenza dei criminali. Ma non è così. Non solo perché molti altri hanno continuato il loro cammino, a ogni latitudine e nel tempo che è seguito, ma perché le loro scelte hanno, soprattutto oggi, la capacità di rendere manifesto il fatto che la via autentica per l’umanità, stretta nella morsa tra liberismo (tutto il potere al Mercato) e populismo (tutto il potere al Capo), sia quella dell’inveramento della democrazia come ordinamento nonviolento della vita dei popoli e delle istituzioni. 

Proprio dinanzi a storie simili occorre rendersi conto che è un errore associare la nonviolenza all’idea di un’individualità eroica ma isolata. La nonviolenza è strutturalmente politica perché vive di comunione, si dispiega con l’impegno delle comunità e con il risveglio della coscienza dei popoli. Quando ci si mette in questa prospettiva, si riconosce che la democrazia viene dalle persone che seguono insieme la passione del bene comune, mai dall’alto o da un dispositivo organizzativo come la burocrazia, la tecnologia o il mercato. Allora si vede che la scelta della nonviolenza è politicamente feconda già nel tessuto della società, lì dove fioriscono comunità civili creative, che agiscono con quel metodo inclusivo che già era praticato e teorizzato da Gandhi. Tale metodo connette vita interiore e azione, impegno sociale e trasformazione dell’economia, cura dei processi educativi e pratica dell’accoglienza verso chi è straniero o chiunque si trovi colpito dagli effetti del disamore e della violenza. 

In un’ottica simile è giusto richiamare, a titolo di esempio eloquente, l’esperienza di Calciosociale nel quartiere di Corviale a Roma. Per Massimo Vallati, il fondatore, e la sua comunità, Calciosociale significa coltivare la bellezza nella periferia, rigenerare la socialità a partire dai più piccoli e mediante lo sport, rispondere alla disoccupazione, alla solitudine, all’illegalità, al degrado ecologico. Calciosociale significa fare politica con la vita solidale e all’altezza dell’etica della nonviolenza.  

Voglio anche ricordare l’esempio di Mediterraneo Sociale a Napoli, un movimento di cooperative e centri di accoglienza che adottano lo stile comunitario tanto nel creare lavoro vero per giovani, persone diversamente abili e migranti, quanto nel contribuire alla tutela della legalità, del territorio e dei beni comuni. Per Salvatore Esposito, presidente di Mediterraneo Sociale, e per la sua comunità, la nonviolenza si traduce nell’affrontare insieme l’esistenza prendendosi cura dei bisogni, dei diritti, delle relazioni, degli affetti, del futuro nel presente. 

Sono solo due esempi, tratti da situazioni quotidiane e da aree particolarmente difficili del nostro Paese. Ma sono esempi sufficienti a far capire che la scelta della nonviolenza non ha nulla di astratto, poiché è concretamente politica e libera le forze creative necessarie a rispondere alle molteplici forme di male che soffocano la vita di tutti. Territorio per territorio, coscienza per coscienza, storia per storia, le comunità risorgono. E così non cessa di crescere il seme della liberazione di una società mondiale che oggi viene letteralmente mortificata da poteri finanziari e politici, palesi e occulti. Poteri avidi di tutto e capaci solo di attuare il nulla.

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