La forza del diritto
Per tutti, per ogni persona e per ogni popolo.
Il diritto è forte quando è sostanzialmente giusto. È tale perchè il legislatore, recependo principi di etica universale, fa della norma giuridica una dichiarazione d’amore alla dignità umana. Quanto più il diritto è frutto di questa relazione parentale, tanto più esso è rispettato. Lo strumento per verificare l’esistenza di questo stato di grazia ordinamentale è fornito, oggi, dal codice universale dei diritti umani, la cui fonte principale è la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.
Un diritto nuovo
Questo nuovo diritto internazionale, che si salda con principi e norme del diritto costituzionale interno di analogo contenuto, può essere certamente violato, come tuttora avviene, pur con diversa intensità, in ogni parte del mondo, ma non può essere ucciso. La sua intrinseca capacità di resistenza è più forte di qualsiasi ferita. Ovunque si attenti alla vita e alla libertà, non importa in quale parte della terra, là si leva il grido: diritti umani. È la coscienza profonda dei membri della famiglia umana che si fa tribunale supremo e alimenta l’effettività del nuovo diritto internazionale.
Il diritto internazionale dei diritti umani che coniuga insieme la vita e la pace, ha introdotto parole fino a poco tempo fa sconosciute al vocabolario giuridico e alla prassi diplomatica, come fratellanza e famiglia umana. In particolare, quest’ultima espressione legittima a (ri)definire la classica “comunità internazionale” come costituita non più, e in via esclusiva, da Stati sovrani per Stati sovrani, ma come casa comune di tutti i membri della famiglia umana in quanto soggetti originari di diritti fondamentali e depositari quindi di sovranità. In questo contesto, la risoluzione dei conflitti deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali, quindi “pacificamente”: è questo l’avverbio ricorrente nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1998 “sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti”.
Legalità umanocentrica
La cultura della politica e della diplomazia deve essere quella della legalità umanocentrica e irenica da far valere nello spazio glocale che è proprio dei diritti della persona e dei popoli. Occorre, quindi, addestrarsi all’uso di un potere che sia coerente con la ratio della nonviolenza, un “potere leggero’” (soft power), fatto di dialogo, negoziato, comunicazione, testimonianza, e anche impegno nel far funzionare, potenziare e democratizzare le legittime istituzioni internazionali e sopranazionali secondo quanto stabilisce l’articolo 33 della Carta delle Nazioni Unite. Un significativo stimolo a procedere su questa strada viene dal documento delle Nazioni Unite del 21 ottobre 2015 intitolato: “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”.
Per quanto riguarda la realizzazione di una politica e di una diplomazia educate all’esercizio del soft power per i diritti umani e la pace, un segnale di portata strutturale è stato di recente lanciato in Italia. Si tratta di un insieme di leggi e decreti che dispongono in materia di Corpi Civili di Pace, di servizio civile universale e di partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali e che, nell’insieme, collocano l’articolo 11 della Costituzione in un percorso di rinnovata attualità.
L’istituzione, in via sperimentale, dei Corpi Civili di Pace figura nell’art. 1, comma 253, della Legge (di stabilità) del 27 dicembre 2013. Il Decreto 7 maggio 2015 del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali (di concerto col ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) disciplina minuziosamente l’organizzazione del primo contingente di tali Corpi, definendo sia le modalità della sperimentazione da condurre sulla base di progetti presentati da enti e organizzazioni di società civile, sia i campi d’azione per interventi che devono essere di natura non governativa, quali: “sostegno ai processi di democratizzazione, mediazione e riconciliazione, sostegno alle capacità operative della società civile locale, monitoraggio dei diritti umani, sostegno a profughi e reinserimento sociale degli ex combattenti, educazione alla pace, sostegno alle popolazioni colpite da emergenze ambientali”. Si tratta di un (primo) elenco “ufficiale” di funzioni di diplomazia popolare o diplomazia dal basso, da spendere su un terreno in cui nostre organizzazioni non governative, come esemplarmente la Comunità Papa Giovanni XXIII coi suoi Caschi Bianchi, dimostrano di saper unire competenza a passione civile.
Particolarmente significativo è l’ampio e articolato preambolo del Decreto dove sono, tra l’altro, citati “Un’Agenda per la pace” del Segretario Generale delle Nazioni Unite (1992) e, per esteso, l’art. 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1998, prima citata: “Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale”.
Servizio civile
Dal canto suo, la Legge del 6 giugno 2016 all’art. 8 stabilisce l’istituzione del Servizio Civile universale “finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della Costituzione, alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, anche con riferimento agli articoli 2 e 4, secondo comma, della Costituzione”. Alla lettera g) è previsto che il Servizio Civile universale “sia prestato, in parte, in uno degli Stati membri dell’Unione Europea nonché, per iniziative riconducibili alla promozione della pace e della nonviolenza e alla cooperazione allo sviluppo, anche nei Paesi al di fuori dell’Unione Europea”.
La Legge del 21 luglio 2016, n. 145 “Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali” annovera i Corpi Civili di Pace fra i soggetti deputati a partecipare alle “missioni internazionali istituite nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite o di altre organizzazioni internazionali” (art. 1). La partecipazione dell’Italia, quindi anche dei Corpi Civili di Pace, è consentita “a condizione che avvenga nel rispetto dei principi di cui all’articolo 11 della Costituzione, del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale”.
Nuovi diritti
Queste norme giuridiche, correttamente interpretate in base al combinato disposto, si presentano come un tutto organico, per così dire “fanno sistema” il cui nucleo unificante è costituito dal contestuale riferimento alla Carta costituzionale e al diritto internazionale dei diritti umani.
Dunque, nell’ordinamento giuridico italiano categorie fino a ieri quanto meno anòmiche, per non dire oggetto di supponente tolleranza o di esplicita derisione negli ambienti della Realpolitik, quali difesa non armata, nonviolenza, Corpi Civili di Pace, perfino educazione alla pace, sono state incardinate in una piattaforma giuridica costituzionale-internazionale, di particolare forza innovativa.
Risulta chiaro che a norma dell’articolo 11 della Costituzione, il ruolo del Paese deve essere non soltanto di non belligeranza rispetto a questo o quel conflitto internazionale, ma di permanente neutralità attiva da esercitare nella costruzione di un ordine mondiale di pace positiva.
L’Italia che crede nella forza del diritto può vantarsi di questa nuova frontiera di legalità buona e giusta, premessa di decisioni coraggiose per la sua agenda politica e la sua diplomazia nel mondo.
La partita non può non farsi serrata tra i sostenitori della geopolitica in chiave di Realpolitik e gli attori della politica della nonviolenza, della difesa non armata della patria e della cooperazione internazionale in spirito di fratellanza. La capacità delle associazioni e degli enti di volontariato sono ora messe alla prova. L’auspicio è che la diplomazia dal basso, pionieristicamente esercitata dai Corpi Civili di Pace, contamini la diplomazia dall’alto.