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Una sola immagine. Fugace, rapida, scippata allo scorrere del tempo. Una sola immagine per raccontare un dramma, un dolore o addirittura una vita. Si tratta dell’esaltazione del frammento in cui anche le tragedie dei popoli si raggomitolano o si distillano per mostrarsi. Molti dicono che un’immagine così vale un articolo, ma guardandole si nutre la convinzione che sopravanzino alle parole per lasciar spazio all’odore acre dei fumi o dei lacrimogeni, ai colori di una casa in bianco e nero e al sudore di un cammino, ai rumori di una battaglia come allo sgocciolio di un rubinetto. Sguardi persi oltre il futuro oppure inchiodati alla croce di un presente ingrato come la paura intarsiata negli occhi di una bambina che sono l’enciclopedia della tragica stupidità della violenza. O il mondo intero in una ruga. Oppure gli occhi universali di un bambino. Provocazioni come sassi contro l’indifferenza o il dolore ridotto a cronaca. Scene di vita quotidiana di un altrove che irrompe nella nostra banalità o, al contrario, è il nostro sguardo indiscreto che invade silenziosamente quei mondi lontani, grati alla curiosità geniale di un artista del frammento.