La Pasqua di Castelluccio
Si semina a Castelluccio. È l’immagine e la realtà più efficace per dire no alla rassegnazione. Avrebbero potuto urlare per chiedere risarcimenti per la mancata semina e il conseguente raccolto. Hanno preferito puntare piedi e zappe per seminare i colori nuovi che vedremo splendere nel sole d’estate. Forti come le lenticchie che crescono a 1.500 metri, quegli uomini e i loro trattori sono il simbolo liturgico di una Pasqua della vita che non si arrende e che non permette alla morte di avere l’ultima parola. A fare da sfondo un paese totalmente disabitato con le case che si piegano le une sulle altre, ma davanti i campi che attendevano d’essere fecondati. È la terra che sale in cattedra a insegnarci la vita e per questo merita d’essere ascoltata nel suo silenzio operoso. La semina di Castelluccio ha una parola per ciascuno di noi se solo sappiamo ascoltare. Per prevalere sulle sconfitte personali o collettive, per rialzarsi dopo ogni caduta, per resistere e ricominciare ogni volta. Senza stancarsi. Come le zolle sventrate dall’aratro, come ogni parto, come un sorriso che scalda il cuore. Tutto questo è il sapore aggiunto delle lenticchie di Castelluccio che da oggi rendono viva una terra ferita.