Novembre 1991

Io so

(da un’idea di Pierpaolo Pasolini)
2 agosto 2017 - Guglielmo Minervini

Io so cos’è la mafia, so che dispone di una struttura politica che si regge su 450 cosche, su un esercito di oltre 15.000 soldati, su un’economia che vanta un fatturato di 100 mila miliardi annui.

Io so chi sono i massimi manager d’affari, i soci politici, cosa sono gli abili giochi di oscillazione tra legalità e illegalità, così ben descritti dai verbali delle commissioni parlamentari e dai numerosi atti giudiziari.

Io so perché la mafia si è così radicata al Sud e perché trae continuo consenso dalla disgregazione urbana e dall’emarginazione sociale, nonostante una guerra che imperversa al ritmo di 1600 omicidi in 18 mesi.

Io so perché l’intervento finanziario straordinario dello stato ha dissestato il Sud più dei terremoti e perché dalla sua perpetuazione dipendono solo le sorti del regime di potere e non quelle della gente o dello sviluppo.

Io so che quando Bossi e Bocca accusano di fallimento il Sud sanno di non dire il falso, ma di essere disonesti perché tacciono su se stessi e sulle responsabilità storiche dei privilegi di quelli che rappresentano.

Io so perché quando si parla del Mezzogiorno criminalizzandolo e invocando più carabinieri, polizia ed esercito, ignorando il rapporto di un rappresentante delle forze dell’ordine ogni 286 abitanti (è tra i più elevati d’Europa) a fronte di un’assistente sociale ogni 15.000 abitanti (è tra i più bassi d’Europa), è solo per non modificare nulla.

Io so che quello meridionale non è un conflitto suo interno, ma di tutti, perché rappresenta una riduzione in scala del conflitto planetario tra il Nord e il Sud.

Io so che anche per i movimenti e i pacifisti questo meridione è disgregato, difficile, diverso, assente, manca agli appuntamenti e si può al massimo ricordarlo con qualche vecchia marcia o con qualche nuovo slogan.

Io so che quando si parla di non violenza si intende solo antimilitarismo e nessuno ricorda che il suo unico banco di prova è la capacità di innescare trasformazioni sociali. Io so che questo Sud – e tutti i Sud – cambieranno solo quando si libereranno dalle categorie interiorizzate della soggezione, dell’impotenza e della violenza riappropriandosi della propria identità e della propria soggettività.

Io so che il risveglio è già iniziato, la trama di speranza preme già sul presente, ma tutti sono distratti dai rumorosi Antonio, don Ciccia, Caliddu, Aristide e gli altri «ministri della malavita».

Io so – ma non ho prove per dimostrarlo – che Dorso aveva ragione: la rivoluzione o sarà del Sud o non sarà.

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