Le forze del disordine contro il diritto a vivere
Avremmo potuto essere di più, ma era difficile immaginare folle oceaniche in un sabato di fine agosto, a Roma. Alla fine, non eravamo neppure così pochi. Oltre cinquemila persone hanno sfilato in corteo per le vie del centro storico.
Strettamente sorvegliate dalla polizia.
Strettamente unite dall’indignazione.
Le modalità dell’ultimo sgombero impongono partecipazione, intervento di corpi. Non abbiamo più nulla da perdere, dopo le giornate malvagie di Piazza Indipendenza. Solo dobbiamo esserci, per dare una risposta politica a questa inutile ferocia.
Con potente autorevolezza di presenza, e di parola, apre il corteo la corposa delegazione di rifugiati del Corno d’Africa, costretti al bivacco sulle aiuole di Piazza Indipendenza dallo sgombero dalle loro abitazioni di fortuna a pochi metri dalla Stazione Termini, in pieno agosto, senza una destinazione alternativa. Sono stati loro, senza volerlo, il simbolo del diritto alla casa negato. La voce in grado di visibilizzare le storie di disagio dei molti italiani che occupano case nella capitale (quasi cento occupazioni). Ribaltamento di prospettive: le parole africane della lotta, “Vogliamo una casa, vogliamo un tetto, vogliamo poter mandare a scuola i nostri figli, vogliamo vivere”, messe a disposizione di tutti. La battaglia dei nativi perorata dagli ultimi arrivati. Inedite scintille della politica fatta dal basso della disperazione, quando la raschiosa domanda di diritti accomuna, e non separa. Se solo gli italiani capissero il valore prospettivo di perorare la causa dei migranti, oggi, anche per tutelare e risollevare la propria!
“Siamo rifugiati, non terroristi”, recita lo striscione africano.
Le ragioni della fuga dei molti eritrei, degli etiopi e degli altri migranti erano state vagliate e certificate dallo Stato italiano. A queste persone sono stati concessi documenti di protezione internazionale. Riconoscimenti di diritto di asilo. Per loro però, per ingombrante vuoto della politica, non è mai stata apparecchiata in anni alcuna strategia di accoglienza. Ancor meno, una protezione degna di questo nome.
Un’abbondante dose di manganelli invece, in nome della legalità, non si sono peritate a somministrarla le cosiddette forze dell’ordine, che disordine dissennato hanno elargito nelle strade assolate di Roma, arse di paura. Un’operazione di cleaning, è stato detto. I cannoni ad acqua si sono riversati senza tregua sui corpi sfiancati dei migranti, ma gli idranti non ha lavato la vergogna. Gli stessi corpi hanno sfilato sabato per le strade romane a testa alta, in un necessario momento di riscatto, a rivendicare la loro umanità. La riconoscibile resilienza che solo gli africani riescono a sfoderare.
Un corteo di donne.
Donne in prima fila, a battere il tempo e il messaggio degli slogan. Donne a spingere passeggini, per marcare spiragli di speranza in un paese che non fa più figli. Bambini che si fanno strada, mano nella mano di genitori sopresi di tanta attenzione mediatica. “Siamo persone”. “Siamo come voi”, “Vorremmo andare in un altro paese, ci abbiamo anche provato, ma ci rimandano indietro”, “vogliamo vivere”. Vogliamo la vita: il richiamo vitale all’essenziale, la urgenza di un ritorno all’umano. Siamo ammutoliti da un rampante processo di de-umanizzazione che stravolge la realtà e insieme genera violenza, indifferenza, perdita di qualunque capacità di ragionare.
Persone Italiane e straniere, insieme.
L’Italia che già esiste. Soprattutto, l’Italia che verrà. Si arriva lentamente nelle vicinanze di Piazza Venezia. In sella, i poliziotti a cavallo, anch’essi in tenuta anti-sommossa. Le signore più anziane, non necessariamente aduse ai cortei, che si accomodano a piccoli gruppi lungo i Fori Imperiali, stanche e accaldate. Le fatiche di quanti hanno fatto il percorso con le stampelle, esiti plastici della resistenza allo sgombero di inizio agosto a Cinecittà. Si ascoltano le storie che si avvicendano al microfono. Poi la proposta di mettersi tutti seduti per terra, ad aspettare una reazione delle istituzioni alla richiesta di un tavolo sull’emergenza abitativa con il Comune, la Regione e la Prefettura.
Siamo in migliaia davanti al Campidoglio e vicino ai palazzi del potere. il Viminale ha annunciato in mattinata che – dopo Piazza Indipendenza – gli sgomberi potranno essere eseguiti solo quando alloggi alternativi si renderanno disponibili. I movimenti per il diritto alla casa non possono permettersi di lasciare il campo. Neppure noi, che pure casa ce l’abbiamo. Ne va del nostro futuro. Adesso serve una risposta da chi ha la responsabilità, il mandato politico di trovare una soluzione. Si fa sera. E poi notte. Si sta, seduti, nel cuore storico di Roma.
Alla fine, la Prefettura pronuncia l’ufficiale convocazione per lunedì. La richiesta di un incontro, e di una mediazione, per impostare un piano casa che riconosca le realtà di disagio e assicuri un tetto per tutti, viene accolta. Ché questo è la politica: dialogo e mediazione. L’unico dialogo ammissibile, diceva Zygmunt Bauman, è quello tra persone che non la pensano nello stesso modo, ma dalla cui interazione si produce nuovo senso.
Restiamo umani!