La morte di Adan
La morte del piccolo Adan riguarda tutti. Riguarda le istituzioni, certo, che non possono negare l’accoglienza a uomini, donne, bambini, che chiedono un tetto e un letto per passare i giorni e le notti. Ma riguarda anche la Chiesa, chiamata con più coraggio ad aprire porte e finestre alle richieste di tutele dello straniero se vuole essere coerente con quella Parola, più volte gridata negli amboni, per cui “anche voi foste stranieri in terra d’Egitto”. Una Chiesa che deve mettersi in testa che quel prossimo della parabola evangelica non è un’astrazione che vive nei meandri di una morale estraniata dalla storia, ma è il volto concreto del povero. Riguarda una società che oltre ad aver reciso il vincolo religioso, verticale, col totalmente Altro, il Dio che si fa conoscere nella “stranieritudine”, ha tagliato i vincoli orizzontali con il prossimo che ogni giorno di più viene denigrato, vilipeso, offeso e ferito da una cultura del rifiuto e della demonizzazione che sconfina in molti casi nel razzismo e nella violenza (anche semplicemente verbale, con oltraggi e insolenze verso il povero, che ribollono nei meandri virtuali dei social network fino a rovesciarsi addosso alla vittima, senza alcun ritegno). Ma riguarda anche noi, che non facciamo abbastanza per allungare le mani a chi soffre, per stare vicino a chi fugge dalle terre infuocate dei tanti Sud del mondo, con le guerre spaventose che massacrano le popolazioni o con la violenza terrorista che le incalza o con le logiche spietate dell’ingiustizia e dello sfruttamento portato dall’Occidente dominatore in tanti Paesi diventati terre di sperimentazione di oppressione, di asservimento e di moderna schiavitù.
Adan è la nostra cattiva coscienza. La sua morte è come un’ombra che ci oscura gli occhi. Perché la tragedia che è piombata a mettere in soqquadro (chissà per quanto tempo) il nostro ordine prestabilito, dimostra quanto vuoti di umanità siano gli ordinamenti legislativi e politici e quanta distanza ci sia fra la legge astratta del diritto dai reali problemi che le famiglie umane sono costrette a vivere nel concreto di ogni istante.
Il prossimo anno si celebreranno in tutto il mondo i settant’anni dalla Dichiarazione Universale per i Diritti dell’Uomo, firmata a Parigi il 10 dicembre del 1948. All’articolo 1 si proclama: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. E agli articoli 13 e 14 viene sancito con forza che “ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni...”.
La vicenda di Adan, con quella triste morte avvenuta nella ricca Bolzano, solleva un inquietante problema di diritto con l’aggravante che il rifiuto dell’accoglienza – sulla base di regole disumane – si è scaricato su un soggetto doppiamente fragile e doppiamente da porre sotto tutela perché minore e perché malato. E dunque contro ogni logica di diritto umano fondamentale.
Per questo motivo, come Pax Christi, ci uniamo alla sofferenza della famiglia e di tutti coloro che hanno cercato, fino all’ultimo, di dare una risposta alle richieste di aiuto di Adan. Ma nello stesso tempo vogliamo (dobbiamo!) fare i conti con le nostre responsabilità di cittadini disattenti e poco forti nel rigettare i semi di odio e d’intolleranza diffusi che sempre più gettano la nostra società e la nostra piccola e ricca città, nei sotterranei della vita e della storia, lì dove infuriano gli impulsi più brutali dell’inimicizia e del razzismo.
Per essere più umani. Per restare umani. E proprio per questo cristiani.
Bolzano, 10 ottobre 2017
Punto Pace Pax Christi Bolzano