Quando muore un boss
Totò Riina non era il male assoluto ma semplicemente un interprete che suonava su quello spartito. Per questo la sua morte non suscita pietà e forse nemmeno la chiede. Per quanto mi è dato di capire, varcata la soglia della vita, ad attenderlo c’erano le sue vittime. E non a vendicarsi, che tanto non avrebbe alcun senso, ma a fargli comprendere, con tutta evidenza, il male provocato, il dolore inflitto e l’inutilità tutta vana di quell’affannosa e spasmodica ricerca del denaro e del potere. Ecco cos’è la morte: la lettura della vita dalla parte dell’ordito, la visione del tappeto persiano della nostra esistenza dall’altra parte del disegno dove c’è incrocio di fili colorati apparentemente senza senso. La morte poi l’ha definita bene l’altro Totò, quello nobile, ed è una livella. E allora chissà se un boss in erba, un aspirante, un pretendente al titolo… non voglia cominciare a considerare quel film avventuroso dal suo finale e anche da quei 24 anni di carcere che hanno privato lui degli affetti e la famiglia, quella vera, della sua presenza. Ecco che quel boss potenziale possa fermarsi prima essendo ancora in tempo, forse ancor prima di cominciare. Chissà! E forse finalmente se non la vita, almeno la morte di un boss sarà servita a qualcosa. E a qualcuno.