Tutti giù per terra
“A terra 222 voli: la protesta dei piloti tedeschi contro il rientro dei profughi”, così titolava Repubblica.it lo scorso 5 dicembre. Pare che siano stati ben 222 i piloti che si sono rifiutati, tra gennaio e settembre di quest’anno, di rimpatriare migranti afgani. Non credono che l’Afghanistan sia un Paese “sicuro”, come invece sostiene il Governo tedesco.
Disobbedienze simili si erano verificate anche nel 2016.
Credo sia una notizia ‘bella’.
Di fronte a tante tragedie, a chi innalza muri, o dice di volerlo fare, a chi semina odio e razzismo. Di fronte a una crescente invocazione di nazismo e fascismo, di pulizia etnica... e chi più ne ha più ne metta; di fronte a una minaccia nucleare e a una terza guerra mondiale a pezzi, è fondamentale cogliere segni di speranza, di vita. Di obiezione di coscienza, di disubbidienza a una legge umana ingiusta per obbedire alla legge profonda della coscienza.
È il caso di questi piloti tedeschi. Ma è anche il caso di tanti “refusenik”, cioè militari israeliani che si rifiutano di obbedire agli ordini contro il popolo Palestinese. “L’obiezione di coscienza sta diventando una pratica molto diffusa in Israele, ... Persone che amano la propria nazione – scriveva Nandino Capovilla su Mosaico di pace già nel lontano 2004 – ma si rifiutano di uccidere innocenti di un altro popolo... Queste donne e uomini “refusenik” stanno diventando sempre più numerosi: il primo nucleo di pochi pazzi, subito incarcerati ed esclusi dalla vita sociale, è diventato un movimento di centinaia di persone e ora, speranza concreta per credere nella pace possibile, sono più di mille!” (https://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/7598.html).
Non è il caso di fare ora una rassegna di tutti gesti di obiezione di coscienza, passati e presenti. Basti ricordare Rosa Parks che il 1 dicembre 1955 rifiutò di cedere il posto su un autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio degli autobus a Montgomery.
Oggi i segni di speranza, di disobbedienza in nome della propria coscienza sono tanti. Sta a noi coglierli e valorizzarli, per far maturare una coscienza collettiva. Lo vediamo anche tra lavoratori e lavoratrici, ad es. in fabbriche di armi o di grandi magazzini, supermercati, dove la dignità di chi lavora è a volte calpestata.
“Non è tanto l’obiezione di coscienza che ci interessa, – diceva don Tonino Bello – quanto la coscienza dell’obiezione. Perché́, dietro le quinte di ogni obiezione, c’è sempre una coscienza collettiva che matura”.