Come nei campi di concentramento
É come se dopo il 4 marzo fosse stata abbassata una serranda: del tema migranti non se ne parla più. È finita l'emergenza, è cessato il pericolo, ridotta è persino la paura. Intanto uomini, donne e bambini che nella roulette della vita hanno avuto la sola sventura di essere partoriti al di là del mare che ci separa (e che una volta ci univa), continuano a tentare il proprio “grattaevinci” e molto spesso perdono. Come è accaduto al giovane eritreo di 24 anni, giunto al pronto soccorso di Pozzallo “pelle e ossa, non lo dimenticheranno facilmente, non lo dimenticheranno mai. È morto di fame, poche ore dopo lo sbarco, lasciando gli operatori sanitari sgomenti e impotenti”. Così riportano le cronache, per poi aggiungere che, insieme a lui, altri ragazzi presentavano gli stessi “sintomi”. Il sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna, che è anche primario del pronto soccorso dell’ospedale di Modica dice: “Non capisco la distinzione tra immigrati che vengono da Paesi in guerra e immigrati che provengono da un Paese dove c’è una situazione economica che è drammatica. Però quello che mi impressiona è che sembra di tornare a 70 anni fa, quando abbiamo visto quelle drammatiche scene di un campo di concentramento e quegli esseri umani, quegli ebrei, ridotti pelle e ossa (...). Noi, come città, vogliamo continuare in quest’opera di accoglienza perché un Paese civile non può tirarsi indietro”. Considerazioni che non si sono sentite in campagna elettorale. E non chiedetemi perché.