Il realismo dei pacifisti
Mai come in questi giorni comprendiamo quanto si rivelano assolutamente infondate le accuse e i pregiudizi nei confronti del variegato popolo della pace e della società civile organizzata. Quante volte i pacifisti in questo Paese sono stati dipinti come ingenui che non aggiungono proposte alla contestazione, come coloro che, non avendo una piattaforma politica e mancando di sano realismo, si fermano sulla soglia degli slogan inconsistenti e non sono in grado di muovere nei fatti la politica che conta, quella che può cambiare le sorti della storia. Persino da autorevoli rappresentanti dell’opposizione politica di questo Paese ci siamo sentiti ripetere che il senso di responsabilità nei confronti dello Stato obbliga tutti i rappresentati delle istituzioni a ragionare in termini molto concreti per cui è fuori luogo parlare di ritiro delle truppe italiane presenti sul territorio iracheno, che è inconsistente una proposta che dia forza al ruolo delle Nazioni Unite, che bisogna fare i conti con la storia e con le forze in campo.
Al contrario noi abbiamo sempre sostenuto che le proposte e le azioni del variegato panorama pacifista sono sempre state improntate al realismo illuminato dai valori e incoraggiate dalla testimonianza di chi al contempo lavora anche sul terreno.
Ci sono due fatti nuovi in queste ore che danno ragione di queste posizioni.
Da una parte, la scelta di Zapatero di ritirare le truppe spagnole dall’Iraq e di rilanciare una politica di più ampio respiro per l’intera regione mediorientale. E dall’altra, la mediazione di uno dei capi degli Ulema, il dott. Abdel Salam Kubaisi. Per quanto riguarda Zapatero non abbiamo bisogno di dilungarci perché è sotto gli occhi di tutti che evidentemente le proposte che non si limitavano al semplice ritiro delle truppe, lungi dall’essere un atto irresponsabile, potevano divenire una scelta politica concreta, capace di dirigere gli eventi in una direzione che meglio li inquadra all’interno della giurisprudenza internazionale. Di fatto, la presenza delle forze armate italiane in quel luogo oggi avalla quell’idea di unilateralismo che getta bombe sulle Nazioni Unite e sul diritto internazionale, prima ancora che sulla inerme popolazione irachena. Se anche in Italia avessimo avuto una classe politica attenta a intercettare questi importanti passaggi della storia, se solo avessimo nelle istituzioni rappresentanti meno prigionieri della logica del potere e più attenti a imprimere agli eventi uno slancio maggiore verso la pace… non solo oggi avremmo l’Italia smarcata dalla fanghiglia della violenza ma avremmo dato un contributo serio e importante a un futuro di pace.
È sul secondo esempio che vorrei fermarmi con maggiore attenzione perché purtroppo è passato pressoché inosservato presso gli organi di informazione. Negli anni duri dell’embargo in Iraq, Pax Christi, così come altre realtà, ha frequentato l’Iraq per comprendere da vicino la sofferenza della situazione e rappresentarne lo stesso dolore a livello internazionale. Ne è nata così una fitta rete di amicizie, relazioni, alleanze. Tra queste, non sono mancati i ponti lanciati verso la composita comunità islamica irachena. Abbiamo sempre sostenuto che piuttosto che con la guerra, la democrazia e la liberazione dalla dittatura sarebbero stati possibili grazie al dialogo, all’incontro, alla comprensione, alla cooperazione.
In questi giorni, Abdel Salam Kubaisi, alto rappresentante della comunità Sunnita di Bagdad, viene festeggiato come un eroe perché ha offerto la propria mediazione per la liberazione di molto ostaggi stranieri nelle mani di gruppi islamici, tanto da essere riuscito fin ora a farne liberare 20 e, tra questi, i tre giornalisti giapponesi e un francese.
A lui, in queste ore, molti rappresentanti italiani si sono rivolti per chiedere di convincere i rapitori degli italiani a rilasciarli. Ebbene, il dott. Kubaisi è sempre stato un punto di riferimento importante per l’azione di Pax Christi in Iraq. Un’amicizia che è culminata nel suo invito a partecipare nello scorso ottobre all’assemblea dell’Onu dei popoli accanto a un rappresentante della comunità sciita e a un altro dei cattolici caldei. Il 12 dello stesso mese, Kubaisi ha partecipato alla marcia Perugia Assisi dando sempre il suo contributo in termini di riflessione e di testimonianza.
In questo senso i sentimenti che nutriamo in queste ore sono, da una parte, di orgoglio e felicitazione per il ruolo che un amico dei pacifisti italiano sta svolgendo in Iraq, ma, dall’altra, di rabbia perché, proprio questo, dimostra che c’era e c’è una parte attenta del mondo islamico iracheno in grado di comprendere e sostenere le ragioni della pace. Inoltre, ancora una vola constatiamo che l’utopia dei pacifisti precede il preteso realismo della politica e che se questi mondi si ponessero maggiormente in ascolto l’uno dell’altro, forse ci sarebbe meno violenza e più comprensione tra i popoli.
Siamo in contatto con il dott. Abdel Salam Kubaisi e ne stiamo incoraggiando l’azione. Ma forse non basta. Avremmo bisogno di un governo e di istituzioni che, piuttosto che snobbare le ragioni del popolo arcobaleno, siano in grado di capirne le proposte e di scorgerne il lavoro che va molto oltre le manifestazioni di piazza.
Note
FOTOPerugia-Assisi, ottobre 2003: il dott. Abdel Salam Kubaisi (il primo a sinistra) in compagnia di don Fabio Corazzina e degli altri ospiti iracheni, in occasione dell'Onu dei popoli e della marcia per la pace.