Sarajevo, come è stato possibile?

6 giugno 2018 - Renato Sacco (coordinatore nazionale di Pax Christi)

Sarajevo ha un posto speciale nel mio cuore. La marcia del 1992, con don Tonino, l’incontro con tante persone che vivevano da mesi in una situazione surreale, assurda, impensabile, in assedio sotto le granate, per anni. Sarajevo sono i tanti amici e amiche, la loro amicizia sincera e il ricordo di tanti che non ci sono più...

Sarajevo e la Bosnia richiamano – e non credo solo a me – la follia della guerra, e la pulizia etnica.

Tre anni fa, come oggi, 6 giugno 2015, papa Francesco è andato a Sarajevo, la Gerusalemme d’Europa. E ti trovi con la solita domanda: ma come è stato possibile? Chi avrebbe mai detto che a Sarajevo, città multietnica e multireligiosa, città universitaria, di alto livello culturale, sarebbe accaduto tutto quell’inferno? Nessuno ci credeva. “Pensavamo che alcune cose a noi, a Sarajevo, non sarebbero mai successe”, così come mi diceva Majda, una profuga con due bambine. Non ci credeva neanche l’Occidente distratto, o complice. Quando nel 1991, insieme a tanti movimenti per la pace, abbiamo cercato di richiamare l’attenzione internazionale su quanto succedeva nella ex-Jugoslavia, dicendo che bisognava impedire che la guerra raggiungesse Sarajevo, ci fu risposto dall’allora ministro De Michelis: “I soliti pacifisti, che vedono guerra e rischi ovunque. Tre giorni e tutto sarà finito...”.

E ti chiedi ma come è stato possibile? E mi assale la paura, oggi più di ieri.

Perché al Governo, in Italia, c’è chi ha parlato di pulizia etnica, di pulizia di massa da fare anche con maniere forti. Abbiamo sentito che “è finita la pacchia” e sappiamo delle telefonate con il primo ministro ungherese Viktor Orban.

E la preoccupazione cresce.

Papa Francesco, tre anni fa, parlando alle autorità nel palazzo presidenziale, disse: “Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina rivestono uno speciale significato per l’Europa e per il mondo intero. Da secoli in questi territori sono presenti comunità che professano religioni diverse e appartengono a diverse etnie e culture, ciascuna delle quali è ricca delle sue peculiari caratteristiche e gelosa delle sue specifiche tradizioni, senza che questo abbia impedito per lungo tempo l’instaurarsi di relazioni reciproche amichevoli e cordiali”.

Se è successo a Sarajevo, cosa impensabile, non può succedere anche da noi?

Se in Bosnia siamo arrivati a bruciare la casa del vicino perché “diverso”, alla pulizia e agli stupri etnici, mi chiedo: e da noi? Siamo proprio così immuni?

La senatrice Liliana Segre, ieri, ha ricordato di essere una “vecchia signora” che è tra le poche ‘ancora in vita’ a portare sul braccio “il numero di Auschwitz”. Applausi corali da tutti i senatori. Poi quando ha detto: “Mi rifiuto di pensare che la nostra civiltà democratica sia sporcata da leggi speciali nei confronti di rom e sinti: se accadrà mi opporrò con tutte le forze”, gli applausi non sono stati così calorosi... È vero che il Presidente Conte ha detto ‘Non siamo e non saremo mai razzisti”.  E ci mancava che dicesse il contrario!

E ti senti già un po’ vecchio, con la tentazione di dire ‘io l’avevo detto...’ che è una delle cose da non dire mai, lo so. Però, è vero che, da anni, abbiamo cercato di ricordare che l’atteggiamento della Lega, preso sotto gamba anche da molti ambienti ecclesiali, era pericoloso. Che anche a Sarajevo nessuno prendeva più di tanto sul serio Radovan Karadžić, lo ritenevano un po’ fuori di testa, eccentrico. Poi, fu lui, invece, a “gestire” l’assedio della città e a “ripulire” la Bosnia insieme al generale Ratko Mladić.

E così Bossi e poi Salvini furono per anni considerati un po’… originali, esagerati, folkloristici.

Le mie proteste avevano suscitato le ire anche dell’allora Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, che pensò bene di protestare ufficialmente presso il mio vescovo, Renato Corti, mandando ovviamente prima la notizia ai giornali. Per anni, su Mosaico di pace, con dossier e articoli vari, abbiamo cercato di ragionare su quanto stava succedendo. Anche Famiglia Cristiana, già nel 2010, aveva fatto un’inchiesta in varie parrocchie, oratori, dove la Lega era radicata.

Ora queste persone e queste idee sono al Governo con un progetto che inquieta. Perché sulla guerra, sui diritti civili, sulla dignità delle persone, le inquietudini e le paure restano, almeno da parte mia. “Lasciamoli lavorare” dicono in molti. Come se fosse davvero tutto nuovo, e non invece già tristemente conosciuto. 

E mi chiedo se è giusto continuare a fare le solite cose di ogni giorno? Forse sì. O forse no.

Parlo per me, ovviamente, e ho molti dubbi. Forse bisognerebbe pensare qualcosa di diverso, che risponda alla situazione di oggi, per evitare di anestetizzare la coscienza, come ci ha ammonito ieri Liliana Segre. Forse bisognerebbe essere più chiari ed espliciti, rischiando magari anche la denuncia. Come ha fatto don Alberto Vigorelli di Mariano Comense che si è beccato una denuncia da Matteo Salvini, nel 2016, per aver detto in chiesa più o meno così: “O sei cristiano o sei con Salvini”. Forse non dovrebbe essere il solo a dire alcune cose. Forse non dovremmo lasciarlo solo don Alberto, dovremmo essere denunciati in molti. E poi sarà un tribunale civile a decidere – pensa un po’ – ciò che è compatibile o meno con il Vangelo.

Tante parole forse, le mie. Ma che non fugano i dubbi. Cosa fare?

E probabilmente non cambierà niente, continuerò a fare le solite cose, magari con più passione. Perché, come mi ricordava qualcuno, è importante, in questi momenti, testimoniare, resistere. Ma resta la domanda: se è giusto così? O se in questo modo poi ti trovi nella situazione di Sarajevo e ti chiedi: come è stato possibile?

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