Un dolore senza nome
L’orrore sembra non conoscere alcun limite in Messico. Pensavo di aver conosciuto ormai tutte le attività criminali cui da anni sono dediti i cartelli (traffico di droga e di persone, traffico di organi, tratta di donne per lo sfruttamento sessuale, sequestri di persona, estorsioni…) ma Erika Llanos, attivista sociale messicana, riferisce che negli ultimi anni i narcotrafficanti si sono dedicati anche al rapimento di bambine da vendere nel mercato sempre più lucroso della pedofilia. Una delle convinzioni radicate tra i malavitosi è che “se vendi una partita o una dose di cocaina guadagni sono una volta, se vendi una bambina guadagni continuamente”. Per questo è importante esigere che le forze dell’ordine di quel Paese (ma non solo) si specializzino nel perseguire quel tipo di crimine come stanno facendo alcune organizzazioni sociali come Cauce Ciudadano che tramite socialnetwork e reti sociali reali riescono a diffondere la notizia della scomparsa di una bimba in tempi brevissimi dal compiersi dell’evento e a creare un’allerta che apre gli occhi dei quartieri e delle vie di comunicazione. Finora questo metodo ha permesso di ritrovare 12 bambine. Il resto è tutta rabbia e indignazione che si mischia al dolore che non conosce ancora una definizione nella lingua italiana (ma nemmeno in spagnolo) di troppi papà e troppe mamme.