La parola al pallone
Nell'epoca in cui – come andiamo ripetendo da tempo – gli slogan sembrano avere la meglio sui principi e sui valori, sulla riflessione argomentata e la documentazione seria, forse la comunicazione migliore è quella dei segni. Mi riferisco a una sorta di distillato sapiente dello studio o delle questioni che riteniamo fondanti la nostra stessa convivenza umana. Perché se è vero che ci sentiamo indifesi, esposti e disarmati di fronte a coloro che esercitano il potere nel peggiore dei modi possibili, ovvero plasmando la mente delle maggioranze talvolta con parole-scorciatoia e altre con parole-inganno, parole-pietra e parole-miccia, abbiamo sempre la possibilità di ricorrere ai segni. Ce lo ricordava don Tonino Bello: “Di fronte a coloro che ostentano i segni del potere, dobbiamo mostrare il potere dei segni”. E c'è bisogno di creatività e fantasia, di libertà interiore e di grande intelligenza e ieri, ad esempio, nel carcere di Rebibbia, con Luigi Ciotti, Armando Zappolini, presidente del Coordinamento delle comunità di accoglienza e Sandro Spriano, cappellano nel carcere per una vita, abbiamo incontrato detenuti, giornalisti, università e associazioni per lasciar parlare la tolleranza, la comprensione reciproca, l'accoglienza dell'altro, in un triangolare di calcio. E hanno preso la “parola” il pallone, il tifo e la relazione semplice come lo sport. E soprattutto ha insegnato qualcosa la vittoria della squadra dei detenuti contro quella dei giornalisti Rai e dell'Atletico diritti.