L'alberello nell'alveo del fiume
A volte è un urlo e altre volte è un lamento, ma puntualmente è un disastro. Anzi, per usare le parole di Papa Francesco, è il sintomo della “spirale dell'autodistruzione” (Laudato sì, 163). Fiumi che rompono gli argini, intere foreste che si ripiegano su sé stesse, colline che franano, bombe d'acqua che in cinque minuti rendono quartieri e città corsi fluviali, oppure incendi tanto vasti da non poter essere circoscritti su una cartina. È ciò che lentamente avviene nei Paesi più caldi (e più poveri) in cui il deserto erode sempre più terreno alla terra fertile o i ghiacciai che si liquefanno aumentando il livello delle acque fino a inghiottire isole e coste. Autodistruzione. Perché non è semplicemente contro la natura ma contro noi stessi. Un'autodistruzione che alcuni fingono ipocritamente di non vedere o che continua ad essere sottovalutata o addirittura negata. Sì, perché c'è un negazionismo climatico che viene cosparso sui social o nelle stanze che contano, con la stessa foga delle scie chimiche, dei vaccini che fanno male e del terrapiattismo. Ma la misura è colma quando ad essere colpevolizzati sono proprio coloro che in questi anni ci hanno messo in guardia. Il ministro degli interni del governo italiano ha avuto il colpo di genio di prendersela “con l’ambientalismo da salotto: non ti fanno toccare l’albero nell’alveo ed ecco che l’alberello ti presenta il conto”. Ma se è proprio perché quell'albero l'avete toccato – eccome! - che oggi avvengono i disastri!