Dichiarazione d’amore
Quasi come un esercizio dello spirito, una necessità dell’anima, sono andato a rileggere gli articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani e ho avvertito la segreta tentazione di impararli a memoria. Mi sono commosso come per una dichiarazione… d’amore. Ho pensato agli anni in cui lottavamo per solidarizzare con i cittadini che vivevano in nazioni governate da dittature e regimi totalitari che di quella Dichiarazione avevano fatto carta straccia. Alle tante storie ascoltate circa la loro violazione. Ho pensato soprattutto alle vittime. Troppe. E poi mi sono accorto come oggi quei diritti traballino in certe democrazie conclamate, con governi eletti con tanto di urne e schede ed elettori e non dove governino regimi imposti con un colpo di Stato. Ho pensato a quante volte proprio in questi ultimi anni ci è toccato di ascoltare giustificazioni “plausibili”, ragionevoli e “realistiche” circa alcune violazioni. Verrebbe la tentazione di pensare che settant’anni siano passati invano e che ancora resta tanto da fare perché quegli articoli siano metabolizzati dai governi e dai popoli. Mi sono ritrovato a pensare che si sia andati indietro più che avanti. Nella politica, nella cultura, nella mentalità corrente. Poi mi sono ricordato di quello che mi disse il regista Carlo Lizzani durante la pausa di un programma televisivo a cui partecipavamo dieci anni fa per celebrare i sessant’anni della Dichiarazione: “È da quando sono nato che sento ripetere che adesso la storia sta facendo passi indietro. Mi sono convinto che la storia non va né avanti e né indietro. La storia va dove gli pare. E a volte ti sorprende”. E allora ti prego, storia, sorprendimi ancora.