Come le gocce
Non per pigrizia ma piuttosto con sentimenti di gratitudine e ammirazione, oggi cedo il passo e la parola a Erri De Luca
Visitando luoghi lontani, incontrando facce di popoli intenti in differenti usanze, con altri abiti, linguaggi, alle prese con diverse povertà, mi capita di sentire meglio l’appartenenza alla molteplice varietà di una singola specie. Mi capita di avvertire materialmente l’uguaglianza, che di solito è il sostantivo astratto previsto dalle democrazie. Nei luoghi lontani l’uguaglianza è per me un’esperienza fisica. Mi fa riconoscere la condivisa capacità della specie umana di adattarsi e aderire ai suoli, ai climi, alle latitudini e alle altitudini, come fanno le gocce sul vetro. Magnifica è la versatilità di una costituzione fisica che si moltiplica nei corpi. Una formula ebraica ringrazia la divinità perché trasforma le creature. Leggendola mi trovo d’accordo. Non lo sapevo prima, lo condivido poi. Si è a immagine e somiglianza dei semi, viaggiatori in braccio al vento come quelli dell’abete rosso, dell’acero, del pioppo, trascinati via mare come le noci di cocco. Si è capaci di sfruttare un passaggio dentro la stiva di intestini, com’è accaduto ai meli. Provo per la specie umana la fiducia che ho per i semi e la gratitudine di essere seminato. Visitando luoghi lontani mi accorgo di essere frutto di una moltitudine, non il presuntuoso prototipo. Ascolto le varietà di storie, osservazioni naturali, tecniche, rimedi, riti, credenze, mi meraviglio dei particolari. Si spalancano i pori per lo stupore, condizione necessaria che precede le domande e le spiegazioni. Nei singoli posso riconoscere i torti, i vizi, le malizie che ritrovo anche in me stesso. Nella folla di un paese lontano sento la grandiosità dell’insieme e provo il sentimento dell’ammirazione.