I promotori scrivono a Banca Intesa

26 aprile 2004

Gentile Dott. Passera,

Banca Intesa ha reso noto lo scorso 18 marzo il proprio impegno, con effetto immediato, a non fornire più finanziamenti al commercio delle armi. Il comunicato chiarisce anche che ''Banca Intesa si riserva comunque di valutare autonomamente operazioni che, pur rientrando fra quelle previste dalla legge 185/90, non abbiano caratteristiche tali da essere incoerenti con lo spirito di 'banca non-armata'''. In questi casi, la decisione in merito al finanziamento verrà presa direttamente dall’Amministratore Delegato ed i dettagli dell’operazione saranno pubblicati sul sito internet dell'istituto.

Come diverse organizzazioni della società civile che hanno partecipato ad iniziative e campagne riguardanti le “banche armate”, e quindi alla Campagna Manca Intesa, riteniamo che questo sia un risultato molto importante e positivo, ed un passo in avanti decisivo sulla strada di una maggiore responsabilità del maggiore istituto di credito in Italia, con la speranza che una tale decisione dia il buon esempio all’intero settore bancario italiano.
Riteniamo, infatti, molto importante che siano state identificate la responsabilità diretta dei vertici della banca nel prendere eventuali future decisioni per il finanziamento del settore delle armi e la necessità di introdurre maggiore trasparenza nell’operato della Banca, prevedendo la pubblicazione sul sito dell’istituto di queste eventuali decisioni.
Questa decisione testimonia anche l’importanza delle iniziative e della partecipazione della società civile, come chiarisce lo stesso comunicato quando afferma che la decisione di uscire dal commercio di armi è “la risposta alla crescente sensibilità dell'opinione pubblica che ha portato anche a una campagna di pressione, da parte di gruppi pacifisti e attivi nella finanza etica, contro le "banche armate", cui hanno aderito anche clienti dell'istituto”.

Allo stesso tempo, crediamo che questo sia solo un primo passo nella giusta direzione. Per considerare Banca Intesa davvero come banca non-armata è necessario procedere subito in almeno due direzioni.

1. Implementazione immediata della decisione di non finanziare più l’industria delle armi, e monitoraggio delle decisioni di Banca Intesa in materia nel prossimo futuro. E’, infatti, necessario osservare quali saranno le eccezioni considerate, ovvero le operazioni che “pur rientrando fra quelle previste dalla legge 185/90, non abbiano caratteristiche tali da essere incoerenti con lo spirito di banca non-armata”. Le migliori linee guida del mondo non hanno nessun valore se non suffragate dalla prova dei fatti. Già in passato altri istituti hanno dichiarato di avere adottato politiche molto stringenti in materia, per poi continuare a finanziare in maniera incoerente ed irresponsabile, anche di nascosto, l’industria delle armi. Nel riconoscere nuovamente l’impegno verso la trasparenza che la banca ha deciso di intraprendere, ci impegniamo quindi a monitorare con attenzione le future operazioni della banca, per verificare in concreto il rispetto degli impegni assunti.
Solo per fare un esempio, anche se considerato un paese democratico e non in conflitto aperto, crediamo che la vendita di armi alla polizia turca, tuttora accusata di gravissime violazioni dei diritti umani, in particolare nei confronti delle minoranze curde, non possa assolutamente essere compatibile con la definizione di “banca non-armata”. Si pensi che il Consiglio di Europa ha richiesto sin dal luglio 2002 lo scioglimento del corpo statale di sicurezza della Gendarmeria turca per sistematiche violazioni dei diritti umani, condannate con numerose sentenze anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

2. Il commercio delle armi, per quanto essenziale, non rappresenta che uno degli aspetti legati alla responsabilità delle banche. Banca Intesa, in particolare, si è caratterizzata anche nel più recente passato per il finanziamento di opere con fortissimi impatti ambientali e sociali (tra cui impianti petroliferi e oleodotti, che contribuiscono pesantemente, in modo diretto e indiretto, alla produzione di gas serra ed ai cambiamenti climatici), per la presenza di diverse filiali e controllate nei paradisi fiscali del pianeta, per una scarsa trasparenza nei confronti di risparmiatore e clienti e per la crescente importanza di operazioni di speculazione finanziaria (con le relative conseguenze negative di natura sociale ed economica) nell'ambito delle sue attività.
Anche circoscrivendo il discorso unicamente alla responsabilità in materia di guerre e conflitti, riteniamo che questi non siano legati unicamente alla vendita di armi. Per rimanere all’esempio della Turchia, ricordiamo che solo un mese fa Banca Intesa ha accordato un finanziamento di 67 milioni di Euro al controverso oleodotto Baku-Tbilisi-Cehyan (BTC), che con i suoi 1.760 km di tubi dovrebbe portare il petrolio del Caspio al Mediterraneo, attraverso Azerbaigian, Georgia e Turchia. Al di là delle possibili conseguenze sul piano sociale ed ambientale, questo oleodotto attraverserà una regione già martoriata da ben sette conflitti armati nei soli anni ’90, tutt’altro che risolti. Ad esempio l’oleodotto passa a poche decine di chilometri dalla Cecenia, dal Nagorno-Karabhak ed attraversa zone nel nord-est della Turchia dove le minoranze curde subiscono quotidiane e pesanti violazioni dei loro più elementari diritti umani.
Mentre la Turchia ha affidato la sicurezza dell’oleodotto proprio alla Gendarmeria, la Georgia, paese che appare sull’orlo di una guerra civile e l’Azerbaigian, considerato una delle nazioni con il maggiore livello di corruzione al mondo, hanno già chiesto l’intervento delle truppe della Nato e statunitensi per militarizzare il percorso dell’oleodotto. A questo va aggiunto che a giudizio di numerosi osservatori internazionali l’instaurarsi di nuovi governi nei due paesi ha ricevuto pesanti interferenze esterne ed interne, nonché ha generato diffuse tensioni nell’area.
Oltre a questi aspetti estremamente preoccupanti, si tratta una volta di più di un progetto voluto unicamente per portare il petrolio nell’energivoro occidente, senza alcuno sviluppo o beneficio per le popolazioni attraversate dal percorso dell’oleodotto, per le quali l’unica probabile conseguenza sarà l’ulteriore aumento di tensioni sociali e conflitti etnici, con conseguenze potenzialmente devastanti.

Non è purtroppo difficile immaginare, in queste condizioni, che ricordano molto qualcosa di già visto in altre parti del mondo, come la prossima guerra per il controllo del petrolio e di aree strategiche possa scoppiare proprio nel Caspio ed in diretta conseguenza della costruzione di opere faraoniche quali l’oleodotto BTC che Banca Intesa ha deciso di finanziare. In questa sciagurata evenienza, riterremmo Banca Intesa corresponsabile dei conflitti.

A testimonianza della validità e fondatezza delle critiche avanzate dalla campagna internazionale lanciata da moltissime Ong sul progetto BTC, proprio in questi giorni la British Petroleum, maggiore esponente del consorzio BTC, ha ricevuto pesanti e documentate accuse di avere occultato delle informazioni fondamentali circa la sicurezza dell’oleodotto, in particolare riguardo all’utilizzo di materiali scadenti per il rivestimento anti-corrosione, e addirittura in merito a possibili frodi nell’assegnazione degli appalti per queste forniture. Ricordando che sia la messa a disposizione di queste informazioni, sia la qualità dei materiali utilizzati rientravano negli obblighi previsti nei contratti che il consorzio BTC ha firmato con i finanziatori, tra cui Banca Intesa, queste violazioni, se confermate, sarebbero ampiamente sufficienti perché i vari istituti finanziari coinvolti, e quindi anche Banca Intesa, ritirino il loro appoggio finanziario al progetto.

Per questi motivi, e considerando che la banca nella sua lettera del 27 marzo indirizzata alla nostra Campagna ha dichiarato che i suoi vertici sono “disposti a valutare nuovamente le compatibilità ambientali e umane, anche sulla base delle informazioni ulteriori che potrete fornirci voi o altre Ong” chiediamo a Banca Intesa di aprire immediatamente un’indagine indipendente sull’accaduto, e di rendere pubblici i risultati di questa inchiesta.
Se questi risultati dovessero confermare le nostre preoccupazioni, crediamo che l’unica possibilità per la Banca dovrebbe essere quella di dichiarare immediatamente il prestito in default e ritirare quindi il finanziamento per il progetto.

In conclusione, rinnoviamo il nostro apprezzamento per la decisione della banca di uscire dal commercio delle armi, e la nostra piena disponibilità a collaborare per quanto possibile con la banca stessa sulla strada di una maggiore responsabilità. La dichiarazione dei giorni scorsi rappresenta un primo passo necessario ma non sufficiente in questa direzione, ed ora viene la parte più importante e difficile che consiste nel dare subito un seguito concreto a queste dichiarazioni, dimostrando con i fatti che la maggiore banca italiana ha deciso di modificare radicalmente le proprie politiche per trasformarsi da una banca che finanzia le armi ed il petrolio in un istituto che considera in primo luogo la sostenibilità e le proprie responsabilità. La questione BTC diventa per noi il primo test della serietà dell’impegno della Banca.

Distinti saluti,

Alex Zanotelli (Missionario Comboniano)
Federico Ceratti (ACEA)
Alessandro Messina ( Associazione Finanza Etica)
Marco Bersani (Attac Italia)
Roberto Meregalli (Beati i costruttori di pace)
Andrea Baranes (Campagna per la Riforma della Banca Mondiale)
Gino Barsella (Campagna Sdebitarsi)
Paolo Trezzi (Centro Khorakahne')
Patrizio Monticelli (MAG2 Finance Milano)
Fabio Marraffa (Mani Tese)
Nicola Colasuonno (Missione Oggi)
Raffaello Zordan (Nigrizia)
Tonio Dell'Olio (Pax Christi)
Giorgio Riolo (Punto Rosso FMA)
Roberto Cuda (Rete di Lilliput)

Note

Campagna MancaIntesa
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