Convertiti, rassegnati e opportunisti
Talvolta mi succede di incontrare tecnici o politici che hanno ricoperto importanti incarichi di governo nel corso degli anni nel nostro Paese. Li ascolto sempre molto volentieri, li ascolto con attenzione, sui diversi temi. Puntualmente mi ritrovo sorpreso e spiazzato dalla loro analisi lucida e spietata sulla situazione generale e del contesto di loro pertinenza e, soprattutto, dalle “ricette” - a volte veramente rivoluzionarie – che prescriverebbero per migliorare la congiuntura a partire dall'attenzione a coloro che fanno più fatica ad arrivare alla fine del mese, alle politiche su ambiente, cooperazione internazionale, lavoro ecc.. Analisi e soluzioni che non riesco a non condividere. Poi faccio mente locale all'azione dei governi in cui hanno ricoperto il ruolo di ministro o sottosegretario e mi rendo conto che ben poco avevano fatto quando ricoprivano quegli incarichi. Delle due l'una: si è trattato di una sorta di conversione postuma oppure non c'è speranza che il sistema lasci spazio al cambiamento radicale? La terza ipotesi sarebbe l'opportunismo ma non ci voglio nemmeno pensare. Resto con questo dilemma e lo pongo anche alla riflessione dei lettori. È un dubbio sincero e non retorico perché non voglio esprimere giudizi frettolosi. Una cosa è certa: rassegnarsi non va bene e non produce alcun mutamento. Infine mi confermo nella consapevolezza che ogni cambiamento parte dal basso e che a tutti i cittadini spetta di esercitare il dovere di marcare stretti coloro che sono chiamati a governare la nazione.