Il popolo invisibile

17 marzo 2020 - Alidad Shiri

Appello che vi prego di condividere con la massima urgenza facendo arrivare ad autorità politiche e religiose locali, regionali, nazionali.

È importantissimo, perché nessuno pensa agli invisibili, indifesi sulle strade. Camminano per le strade con i piedi pieni di bolle, con lo stomaco vuoto e la pancia che brontola, la temperatura rigida, sono invisibili nella nostra città: i richiedenti asilo e rifugiati. Quasi tutti qui stanno a casa, loro sono invece per le strade, e sono tanti. Alcuni dormono sotto i ponti, alcuni ancora nei centri di Emergency freddo, ma alle 11 devono lasciare il Centro, non possono stare lì.

Prima c’era la mensa a mezzogiorno, adesso non hanno niente. Iniziano a vagare senza una meta, con la pioggia che li bagna, alcuni con le lacrime che gli scendono in una città deserta; prima c’era la biblioteca dove si potevano andare a riscaldare, o nei corridoi dell'ospedale, ora niente, tutti sono chiusi per la paura del virus. Nemmeno possono andare in ospedale, che prima per qualche ora li accoglieva, li riscaldava, li teneva al riparo dalla furia dell’acqua.

Prima potevano parlare con i volontari, ora questi hanno paura di avvicinarsi a loro, di essere contagiati e di contagiarli. Alcuni che dormono sotto i ponti magari hanno la febbre, non sanno se è il virus o derivi dal fatto che dormono fuori per il freddo; altri non sono che brandelli di umanità. Sono diverse le storie di chi non ha una fissa dimora e si ritrova spesso una sofferenza davanti alla quale chiudiamo troppo gli occhi, in questa piccola e silenziosa tragedia. Camminano sempre, vagabondando in giro, fino alle 18 per andare alla mensa della Caritas.

Così vivono in questi giorni nelle nostre città persone che hanno un nome, una storia alle spalle troppo dolorosa, che speravano di trovare qui salvezza. Il clima di paura di fronte al possibile contagio del coronavirus produce anche questa rinnovata sofferenza che sembra nessuno voglia vedere, su cui nessuno ha il coraggio di chinarsi. Si fa l’impossibile per curare chi è colpito dal virus, ma si potrebbe fare almeno qualche minimo passo possibile per aiutare, dare un rifugio, un sostegno, riconoscere una dignità a chi già da troppo tempo soffre.

Mi rivolgo ai responsabili politici e religiosi del territorio perché urgentemente si diano da fare.

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